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Anna


Oggi è la prima volta nella mia vita che il “fuori” rispecchia il “dentro”.

 

Mi chiamo Anna, ho 26 anni e sono ricoverata a Villa Miralago da quasi quattro mesi per Binge Eating Disorder e per Disturbo dell’immagine corporea.

I miei problemi con il corpo e il cibo risalgono all’epoca delle elementari, già in quegli anni ho avuto a che fare con le prime diete e i primi medici che non hanno fatto altro che convincermi che il mio corpo era qualcosa di sbagliato e che nella mia mente ci fosse qualcosa da correggere.

All’epoca sinceramente non capivo cosa vedessero tutti di così preoccupante in me. Alle elementari apportavano variazioni al menù della mensa e, a volte, a pranzo qualcuno mi veniva a prendere per farmi mangiare il mio misero pasto ai giardinetti. Forse era un modo per farmi pesare meno la differenza tra i miei pasti e quelli dei compagni, non lo so, ho ancora molti dubbi al riguardo. Solo adesso mi rendo conto quanto questa situazione mi facesse sentire diversa dagli altri.

In quel periodo i miei genitori mi hanno portata da diversi nutrizionisti della mia città, poi della provincia fino a consultare medici di Milano. Affrontavamo tutti e tre questi viaggi infiniti di cui non percepivo minimamente l’utilità e di cui ricordavo solamente il momento della pesata e quando mi mostravano grafici da cui si evinceva che la mia unica prospettiva fosse l’obesità.


In quegli anni delle elementari mi chiedevano semplicemente di correggere la mia alimentazione, io però percepivo di dover cambiare la mia esistenza, il solo fatto di esistere, perché non vedevo niente di male o di diverso dagli altri.

Ad ogni chilo perso corrispondeva un regalo, mi ero convinta che solo perdendo peso potevo essere felice e far felici i miei genitori. Ancora oggi mi porto appresso questo pensiero.

Non seguivo la dieta solo a scuola, questo ovviamente avveniva a anche a casa dove mia mamma cucinava piatti solo per me, alle feste di compleanno dove venivo redarguita e controllata, dalla nonna, dove in mezzo ai cuginetti mi veniva data una merenda diversa o, mentre tutti gli altri giocavano, a me veniva chiesto nuotare fino alla boa o di fare una passeggiata con gli adulti.

Una delle cose più mortificanti che ricordo succedeva a tavola, dove servendo una qualsiasi pietanza veniva chiesto di chi fosse il piatto per regolarlo e, se raramente qualcuno mi passava la sua porzione pensando fosse indifferente, la mamma, la nonna o la zia con una scusa qualsiasi venivano a togliermi il più possibile dal piatto. Ricordo perfettamente il senso di frustrazione, di impotenza che provavo all’epoca e ancora mi fa male, a volte mi viene da piangere se ci ripenso.

Ho iniziato a provare rabbia e un profondo senso di ingiustizia.

Alle medie, appena mi è stata concessa un po’ di libertà, trovavo sempre un modo per comprarmi del cibo e mangiarlo prima di tornare a casa. Questo mi permetteva di non soffrire la fame, ma a tavola il disagio e l’impotenza rimanevano, quindi cercavo nella mia solitudine, imboscata in qualche viuzza poco trafficata, di mangiare il più possibile perché avevo collegato quella tristezza, quell’emarginazione, al fatto di non avere cibo sufficiente a tavola.

In tutto questo malessere percepivo solo il mio corpo, non so dove fosse la mia mente. I miei genitori a dispetto di quello che può sembrare sono sempre stati molto presenti e amorevoli, mi hanno sempre stimolato a fare tante cose, a esplorarmi, a mettermi alla prova.

Nei miei sensi di colpa al non saper gestire il mio corpo e il cibo, molte volte ho pensato di non avere il diritto di sentirmi male perché in casa io sono molto amata, i miei genitori vivono per me e mio fratello. Tuttora nonostante i miei scivoloni e fallimenti sono sempre molto orgogliosi di me anche per ogni piccola cosa.

Era Anna che si era dimenticata Anna da qualche parte, perché sembrava che tutte le mie giornate girassero intorno a cosa potevo, o meglio, a cosa non potevo mangiare. Col tempo anche la mia mente si è allineata a questo stile di vita. Io volevo solo scomparire.

Ho deciso io di venire in questa comunità terapeutica dopo un calvario incredibile perché durante il periodo delle medie ho scelto di abbandonare ogni dieta e tutti gli sport. Ho provato proprio un sentimento di repulsione verso tutte queste limitazioni. Durante il Liceo ho cominciato a stare davvero male con me stessa, un po’ per gli atti di bullismo subiti, un po’ perché stavo stretta in questo corpo gigante e mi ero allontanata dai miei genitori e dagli amici, perché mi sembrava che chiunque, amici e parenti, non potessero essere soddisfatti della vera Anna.

Ai miei genitori avevo iniziato a raccontare tante bugie: affermavo che con gli amici andava tutto bene, che ero felice, che ero a posto con il mio corpo, che nessuno mi aveva mai preso in giro al riguardo, che avevo tante ambizioni e tanti sogni. Mentivo in continuazione anche a me stessa, avevo creato una Anna che poteva soddisfare maggiormente tutti.


E’ stata una corazza che si è rivelata inutile molto in fretta, in seconda liceo, in una giornata molto pesante emotivamente ho cercato su internet uno psichiatra sperando che mi potesse aiutare, scoprendo poi che essendo minorenne, senza l’autorizzazione dei miei genitori, non poteva fare nulla.

Quello è stato il momento in cui mi sono sentita nel profondo del baratro più nero che potesse esistere: pensavo che i miei genitori non potessero capire o accettare che la loro figlia stesse così tanto male e che ci fossero così tanti problemi.

Questo dottore, che è stato la mia prima ancora di salvezza, fortunatamente ha continuato a darmi un supporto via Email, che mi ha permesso, dopo un anno, di trovare la forza di parlare con i miei genitori che si sono immediatamente mobilitati per permettermi di trovare una cura. Tutte le mie paranoie che avevo nei loro confronti sono crollate.

E’ stato l’anno in cui avevo deciso di andare in Inghilterra, quando sono tornata era il momento di scegliere l’Università, io non stavo bene e ho fatto una scelta sbagliata, sempre per compiacere i miei genitori, e lì ho avuto il mio secondo tracollo, quello più grande della mia vita. Ho passato quattro mesi chiusa in una stanza al buio circondata da cibo sul letto e per terra. Uscivo solo per comprare da mangiare.

Questa fame immensa in realtà non era fame di cibo, la grandezza del mio corpo era solo un modo per chiedere agli altri di osservarmi un po’ di più, di soffermarsi, volevo solo essere vista.

La bellezza di una persona è la felicità, la gioia negli occhi. Nella mia testa però prevalgono sempre altri pensieri, quando una persona mi dice “sei bella”, io penso sempre che si riferisca ai miei occhi, al mio volto, perché ho passato l’adolescenza a sentirmi dire


“hai un bel viso, se solo dimagrissi…”, “Che begl’occhi…. Peccato per il resto”, “sai che se perdessi qualche chilo saresti bellissima”



L’involucro è importantissimo perché è quello che la gente nota e giudica immediatamente. L’esteriorità perde importanza solo per chi ha il coraggio di aprire quella scatola, ma la maggior parte delle persone, e io stessa, sono attratte solo da quello che esteriormente sembra bello. Il giudizio degli altri era diventato il mio giudizio, era un pensiero che si ripeteva in continuazione, tutto il giorno, dentro la mia mente e, per quanto io fossi sia una ragazza molto fortunata perché circondata da persone che mi amano, mi adorano, io non riuscivo a fare realmente mio tutto quell’amore.

Invece bisogna guardare oltre, ma è molto difficile, io credo di non esserne ancora capace. Ci sto lavorando da tempo al mio disturbo, ai miei pensieri: vorrei mostrare la mia anima, ma non è stata allenata in questi anni per farsi vedere, mentre il mio stomaco si è allenato molto. Ora, qui a Villa Miralago mi sto creando una palestra dell’anima.

La malattia non mi ha insegnato niente di positivo, solo ad isolarmi e a giudicarmi, mi ha portato solo dolore e senso di inadeguatezza. Finora ho faticato anche solo ad ammettere che avevo un problema,adesso mi stanno aiutando a guardarla la malattia, a rimodellarla e a colorarla.

Nel mio percorso di cura ho riscoperto l’arte, la pittura, gli acrilici. Ho scoperto come esprimere sulla tela le mie emozioni, ed è stato un grande sollievo perché non avevo mai trovato un modo per comunicarle. L’arte è sempre stata presente nella mia vita, ma prima la utilizzavo unicamente per giudicarmi e quindi mi stringeva davvero dappertutto, continuavo solo a dipingere il mio corpo, le mie cosce, la mia pancia, il mio doppio mento, il seno che pende.

Qui dentro l’arte sta colorando la mia persona ed è meraviglioso. Ho portato le mie tempere e alcuni dei miei colori cui sono affezionata ma che ho nascosto per tanti anni. Non avevo nemmeno il coraggio di condividere questa passione con i miei genitori e ora lo sto condividendo addirittura con altre persone.

Ho avuto il coraggio di raccontarmi perché spero davvero che qualcuno leggendo la mia testimonianza sul blog riesca a trovare uno sprone, una spinta per farsi aiutare. Vorrei dire alle persone che soffrono di abbuffate come me che non ce la si fa da soli, c’è bisogno di persone competenti che ti guidino, ti aiutino a capire cosa sta succedendo nella tua testa. Mi hanno sempre detto nella vita che “era pigrizia, mancanza di forza di volontà, che non lo volevo realmente, non ero abbastanza concentrata”, ma non era così. Qualcosa nella mia mente si era ingarbugliato e continuava a rotolare senza dipanarsi.

Se potessi tornare indietro vorrei tanto abbracciarmi e spronare me stessa a condividere le mie emozioni con qualcuno a casa.

Un abbraccio è protezione, sostegno, accettazione, credo sia proprio una necessità, il bisogno primario di ogni essere umano.

Ai miei genitori vorrei dire che li amo da impazzire, che gli sono grata per tutte le opportunità che mi hanno dato e vorrei tanto che non si sentissero in colpa per le scelte che hanno fatto rispetto ai miei piani alimentari, ai percorsi che abbiamo fatto. Io so che loro stavano agendo per il meglio, che probabilmente non ci siamo affidati alle persone giuste, e io non avevo la forza per affrontare nella maniera corretta quei percorsi. Evidentemente non era il momento, ma ora lo è. Vorrei dirgli che il loro amore lo sento come allora ed è una rassicurazione davvero incredibile.

Vorrei chiedere scusa a mio fratello perché, per colpa della mia malattia, la sua vita è stata un po’ oscurata, io ho sempre avuto bisogno di tanta attenzione, di tante cure, di tanto tempo e di tanti soldi e lui è sempre stato tanto paziente e dolce. Mi sento molto fortunata,e tanto orgogliosa, di avere un sostegno così forte anche da parte sua.

Se dovessi scrivere un messaggio in una bottiglia lancerei semplicemente un appello: che tutti si concentrino sulla gentilezza verso sé stessi e verso gli altri, perché credo che ce ne sia un bisogno disperato tra le persone e tra i giovani. Ci viene sempre chiesto di dare e di essere il massimo, ma non ci viene mai chiesto di amare profondamente e di essere gentili verso gli altri.

Oggi è la prima volta nella mia vita che il “fuori” rispecchia il “dentro”.





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Eleonora

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