" Questa malattia destabilizza tutto e tutti, vedere un figlio in queste condizioni è drammatico per un genitore. I rapporti vengono stravolti, non è più una relazione normale madre/figlia perché c’è un terzo che è la malattia "
Sono Romy, la mamma di Carla. Mia figlia soffre di anoressia nervosa da parecchi anni e la malattia è andata via via peggiorando. Da mamma posso dire che la mia vita è in stallo, finché Carla non ne sarà completamente fuori non riuscirò ad essere tranquilla. Carla ha affrontato diversi ricoveri ospedalieri, di cui uno di otto mesi a Niguarda durante il lockdown, con l’impossibilità di avere qualsiasi contatto. Abbiamo poi proseguito il percorso terapeutico per un anno in day hospital, ogni giorno un’ora e mezza per raggiungere la struttura e altrettanto per tornare, è stata una fatica incredibile, mi voltavo e vedevo mia figlia in macchina che dormiva con la sua copertina e avevo quasi l’impressione di portare con me un cadavere.
Se dovessi rimproverare qualcosa a questa struttura direi che sono stati piuttosto lenti nel proporci l’alternativa della comunità. In quell’anno di day hospital siamo rimasti fermi, non vi è stato alcun miglioramento, anzi Carla ha avuto una regressione.
Io sono una mamma un po’ atipica: non ho mai chiesto né a lei e neppure ai medici quanto pesasse, mi bastava guardarla per rendermi conto come stava. Posso dire che il cinquanta per cento della sua vita l’ha passata accanto a questa malattia e solo quando sta un po’ meglio riesco a riconoscerla, o meglio, riconosco una parte di mia figlia però non posso dire chi sia esattamente Carla oggi.
Durante il percorso terapeutico questi ragazzi lavorano molto sulla ricerca di sé stessi e inevitabilmente il rapporto con noi si modifica. Io mi renderò conto che mia figlia sarà guarita il giorno in cui mi abbraccerà. Per me l’abbraccio è tantissimo, è tutto: adesso quando abbraccio mia figlia lei rimane immobile, ferma, non reagisce. Quello che vorrei è un abbraccio vero, quello in cui l’altro risponde trasmettendoti il suo calore.
Siamo state insieme per quattro mesi in ospedale, ho passato le notti ascoltando i lamenti delle persone che non ce la facevano e se ci penso ora mi chiedo come ho fatto, però l’ho fatto, ho trovato la forza. Ricordo che circa 15 anni fa vidi in televisione un servizio dove la madre di una ragazza in fin di vita, ridotta praticamente a pelle e ossa, l’aiutava ad alzarsi dalla sedia e la rimetteva nel letto. Pensai che fosse un incubo e mi chiedevo come facesse, poi un giorno ho capito come si faceva. Lo fai perché è tua figlia, anche se non la riconosci più perché spesso diventava aggressiva. Col tempo ti rendi conto che chi ti aggredisce è la malattia e non tua figlia, ma impieghi del tempo a distinguere le due cose, tua figlia dalla malattia.
Questa malattia destabilizza tutto e tutti, vedere un figlio in queste condizioni è drammatico per un genitore. I rapporti vengono stravolti, non è più una relazione normale madre/figlia perché c’è un terzo che è la malattia. Qualsiasi cosa dici o fai sbagli sempre, tutti coloro che interagiscono sbagliano. Anche se le mandi la poesia più bella, dall’altra parte non senti reazione alcuna. Anche quando la senti al telefono e cerchi di inserire argomenti differenti rispetto alla malattia diventa complicato, perché hai esaurito qualsiasi tipo di argomento e perché dall’altro capo del filo non percepisci alcuna emozione.
Questa malattia trasforma tutte le dinamiche, ti devi reinventare ogni giorno, niente è più come prima. Spesso dici a tua figlia che la vita è stupenda, che bisogna affrontarla in un determinato modo e questo continuare a ripeterlo a lei finisce per avere ripercussioni anche su di te. Talvolta assorbi anche tu questi insegnamenti, magari non arrivi a crederlo ma impari anche tu a vivere in quel modo. Io parlo per me, questa malattia mi ha fatto riscoprire la musica, l’arte e quelle cose che mi danno un po’ di serenità. Ho imparato anche ad avere un po’ più di amor proprio, impari anche tu a volerti un po’ più bene.
Ho capito che i sensi di colpa che mi pesavano sulle spalle erano inutili. Leggere l’intervista di mia figlia mi ha fatto riflettere su molte cose e mi ha fatto vedere tutto da una prospettiva differente. Io ho cresciuto le mie figlie nella massima libertà, ho avuto con loro un rapporto molto aperto però mi sono chiesta “che mamma sono stata?” In realtà ero una mamma casalinga che non si è realizzata e quindi credo che Carla abbia patito un po’ questa cosa anche se io ho cercato di dare il meglio. Frequentando i vari gruppi di genitori mi sono resa conto che il fatto della separazione non c’entrava nulla, perché ho incontrato coppie in cui percepivi un grande amore.
Il dottor Corradi di Niguarda un giorno disse che questa è una malattia legata in un certo senso anche al benessere e in questo benessere a volte si va a sfociare in situazioni del genere. Faceva un esempio in cui diceva che lui era diventato medico ma non è che avesse 30 in tutte le materie, mentre questi ragazzi sono dei perfezionisti e non si sentono mai all’altezza, ma questa non è normalità è un eccesso. E questi eccessi si manifestano poi in questa maniera, è qualcosa di molto negativo. Probabilmente noi abbiamo dato ai nostri figli quello che non abbiamo avuto e nel dargli troppo forse abbiamo creato anche dei vuoti: diamo tanto sotto alcuni punti di vista e non riusciamo a dare quello che invece loro cercano.
Il papà in questo caso è la parte più fragile perché è molto legato a Carla e questa situazione gli crea molto disagio; vedere Carla in queste condizioni lo mette in grande difficoltà e lo ha segnato moltissimo. Infatti quando parla con lui Carla a volte riesce ad essere più lungimirante, a vedere più lontano sotto certi aspetti.
Il papà tende sempre a giustificare Carla, e talvolta questo atteggiamento, che solitamente è una prerogativa della mamma, non fa altro che alimentare la malattia. Questa malattia è subdola e sa dove andare a colpire, riconosce la parte più fragile. Soprattutto all’inizio quando c’erano i primi segnali, quando Carla era restia ad affrontare questo tipo di problema, il papà l’assecondava ma così facendo assecondava anche la malattia stessa. All’inizio avevamo portato Carla dal nutrizionista e vedevamo anche un miglioramento, poi si regrediva e la malattia avanzava. Io stessa in passato ho sofferto di anoressia e ho riconosciuto subito i sintomi, purtroppo il papà faceva fatica ad accettare la realtà e in un certo senso l’ha sottovalutata, mentre avremmo dovuto intervenire immediatamente.
Il Tempo è qualcosa che scorre inesorabile, mentre speri di scorgere in lontananza quella luce che ogni tanto intravedi per poi vederla scomparire. Spesso il tempo fa molta paura, anche se noi siamo molto fiduciosi. Sicuramente Villa Miralago ci sta aiutando tantissimo, perché Carla ha fatto passi da gigante ed ha dimostrato una grande forza e un grande coraggio. La paura di perderla è ancora qualcosa di molto presente, anche se ora non mi sembra vero vederla nelle condizioni fisiche attuali. Però l’esperienza delle tante ricadute che ha avuto non mi lascia tranquilla, forse lo sarò quando la vedrò star bene per un po’ di tempo: penso che per un genitore sia difficile guarire da queste ferite, il timore rimane.
Se Carla fosse qui ora le direi di credere in sé stessa e di andare avanti con coraggio, di non aver paura, che la vita non è perfetta, la mamma non è perfetta, perché la perfezione è solo un’illusione. Le direi di vivere la vita accettando le cose belle e quelle brutte, perché in ogni caso vale la pena viverla fino in fondo.
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