top of page

Alessandro Raggi


"... Dobbiamo sempre ricordarci che brancoliamo nel buio, perché quando lo dimentichiamo e crediamo di avere dei protocolli che ci sostengono, stiamo completamente snaturando la natura stessa del nostro lavoro. La nostra professione più che coraggiosa la definirei per persone che hanno una grandissima curiosità di conoscere l’altro. Questa è la ragione che mi spinge a portarla avanti: la curiosità di non fermarsi alle apparenze, di andare al di là degli stereotipi, dei sintomi e anche dei luoghi comuni..."

 

Sono Alessandro Raggi psicologo, psicoterapeuta e Vice Presidente di Ananke di Villa Miralago.

Ho scelto di fare questa professione molti anni fa. Ero poco più che un ragazzino quando lessi dei libri che mi avevano appassionato molto e mi ero riproposto di fare proprio lo psicoanalista.

Avevo letto i libri di Aldo Carotenuto, che in seguito è diventato il mio professore ed anche il mio maestro. Ho fatto la tesi di Laurea con lui e con lui ho fatto altri lavori. Lo avevo conosciuto quando ero ancora al Liceo proprio attraverso i suoi libri, il primo libro le lessi fu “Eros e Pathos. Margini dell’amore e della sofferenza”.

Successivamente mi sono trovato a lavorare con i disturbi alimentari. Il mio incontro con questo disagio risale a più di dieci anni fa, quando ho avuto la fortuna di conoscere Fabiola DeClercq, fondatrice dell’ABA con la quale ho collaborato per molti anni. Sono stato il loro coordinatore sia del Centro ABA di Napoli che dei Centri ABA nazionali e con loro è iniziata questa avventura professionale che mi ha molto coinvolto. Sottovalutavo parecchio questi disagi, non li conoscevo, come molti professionisti d’altronde. I disturbi del comportamento alimentare, tranne qualche rara eccezione, non si studiano né alla facoltà di Psicologia né a quella di m edicina, né in specializzazione di psichiatria e neppure in specializzazione di psicoterapia. Li si studia molto poco, sono pochissimi gli insegnamenti attinenti. Ho deciso di studiarli e di occuparmene perché ricordano molto da vicino le dipendenze patologiche, anzi, sono a tutti gli effetti delle dipendenze patologiche. Credo che la dipendenza patologica oggi sia in generale uno dei problemi più gravi che ci affligge.

A differenza della clinica medica, in psicoterapia, quando iniziamo un lavoro con un paziente noi letteralmente “brancoliamo nel buio” e a volte ci sorregge quella piccola fioca luce che è quella dello studio e dell’esperienza.


Dobbiamo sempre ricordarci che brancoliamo nel buio, perché quando lo dimentichiamo e crediamo di avere dei protocolli che ci sostengono, stiamo completamente snaturando la natura stessa del nostro lavoro. La nostra professione più che coraggiosa la definirei per persone che hanno una grandissima curiosità di conoscere l’altro. Questa è la ragione che mi spinge a portarla avanti: la curiosità di non fermarsi alle apparenze, di andare al di là degli stereotipi, dei sintomi e anche dei luoghi comuni. Ci vuole passione, forte curiosità e una grande umiltà; non dobbiamo mai dimenticarci che c’è sempre molto altro che noi non conosciamo e che non conosceremo.

Un rapporto di fiducia, un rapporto empatico sono fondamentali nel percorso terapeutico perché senza questi elementi non esiste la cura e non c’è possibilità di guarigione, perché la psicoterapia non può essere un approccio meramente tecnico. È necessario quel qualcosa in più che è proprio l’empatia, la relazione. È importante tuttavia specificare che la relazione terapeutica non è una relazione qualunque. Per essere terapeutica, realmente empatica nel senso psicologico, dobbiamo consentire che a volte il paziente possa persino odiarci e noi dobbiamo concedere al paziente che ci odi.

Empatia non va confusa col fatto che dobbiamo essere simpatici o essere ben voluti. A volte il paziente ci può odiare sapendo che da noi non avrà ritorsioni, questa è la cosa fondamentale, non dobbiamo essere simpatici dobbiamo essere empatici. Il paziente deve sentire che da parte nostra non ci sarà mai quel giudizio che a loro pesa moltissimo. “Il giudizio” innanzitutto è più un giudizio sociale che poi diventa anche un giudizio soggettivo.

Di momenti difficili ne ho attraversati parecchi e ne attraverserò ancora tanti, e sono stati sicuramente quelli che mi hanno visto di fronte a situazioni rispetto alle quali le nostre possibilità d’intervento erano molto limitate. Ce lo dobbiamo ricordare, perché altrimenti cadiamo in un’illusione di onnipotenza. Però è difficile ammettere che a volte puoi fare molto poco, o persino nulla, è molto frustrante. È una situazione di impotenza, la stessa che possono provare i genitori.


La sofferenza che ogni giorno sentiamo, dovremmo cercare di non portarcela a casa e per questo cerchiamo di fare supervisione, ma è molto difficile non portarsela del tutto Ci sono frammenti che restano addosso. Dei pezzi che porti con te. Secondo me è giusto che sia così. Credo che in parte ti devi lasciare coinvolgere. Il mio maestro Carotenuto diceva che ti devi “lasciar coinvolgere senza farti travolgere”, perché se il dolore del paziente ti sommerge non lo puoi aiutare, ma se non ti coinvolge, se non ti tocca e non cambia un po’ anche te, tu non puoi aiutare lui a cambiare.

I momenti di maggior gratificazione, nel mio caso, sono stati quelli in cui rivedi una paziente, magari dopo anni, che ti porta a vedere il bimbo che ha appena partorito. Mi vengono i brividi anche adesso solo a ricordarlo.

CINZIA: È la vittoria della vita sulla morte, perché queste ragazze durante la malattia invertono la rotta, vanno verso la morte.

ALESSANDRO: In realtà in tutti noi albergano queste due tensioni, una pulsione verso la vita e una pulsione verso la morte. Quando predomina quella autodistruttiva vuol dire che c’è un disagio, la presenza di vuoti talmente profondi che si cercano di colmare. E l’unica soluzione che si vede è farsi del male, questo è quello che va affrontato. Ecco perché questi sintomi non vanno trattati come dei disturbi legati esclusivamente al modo di alimentarsi. L’alimentazione è la parte evidente, lampante, la parte che emerge e di cui bisogna necessariamente occuparsi. Ma non si può immaginare, ad esempio, che occupandosi di chimica si risolva il problema di un tossicomane, allo stesso modo occupandosi di cibo non si risolve un problema di disturbo dell’alimentazione. Anche se questo aspetto va affrontato, il paziente va disintossicato, va rimesso in sesto il corpo. Poi c’è un lavoro enorme da fare, la vera e propria cura. Questa cosa, che a noi sembra scontata, e qui ritorno a una della frustrazioni che io vivo tutti i giorni, nonostante si faccia divulgazione e informazione, purtroppo in larga parte d’Italia ancora non viene fatta adeguatamente. O viene fatta sulla carta, ma in molti territori, di fatto, c’è una totale mancanza non solo di strutture, ma anche di personale preparato. Non c’è informazione ancora adeguata, scarsa la preparazione. I medici e i pediatri di libera scelta avrebbero bisogno di una formazione anche minima rispetto a queste tematiche.

Alcuni professionisti pensano che sia banale sostenere che questi ragazzi hanno “fame d’amore” come disse prima Fabiola DeClercq e successivamente Massimo Recalcati. Molti ritengono che questa cosa sia superata, ma secondo me non lo è affatto: è attualissima. Il problema è che è apparentemente più semplice colmare una fame del corpo, che un’indicibile e spesso incomprensibile fame d’amore. È più difficile fare una clinica fondata su qualcosa di così complicato e allora si cercano scorciatoie che poi però si rivelano dannose. Questa fame d’amore, è una fame che in qualche modo sembra insaziabile, anche quando in realtà questi ragazzi e ragazze, non di rado, vengono sommersi d’amore. E allora di quale amore hanno bisogno? Di che tipo di amore? È questa la cosa difficile da comprendere.

Però così come non va confuso il disturbo del comportamento alimentare con un disturbo meramente alimentare che riguardi solo il cibo, non si può prescindere dal declinare al plurale questi disturbi. Non esiste l’anoressia e non esiste la bulimia: esistono “le anoressie e le bulimie”. Se vogliamo proprio fare dei cluster, delle aggregazioni, ne esistono almeno sei/sette tipologie diverse, per cui il bisogno che spinge una persona a privarsi del cibo pur avendo fame, o a avere condotte compensatorie, può essere molto diverso. Di solito quello che le avvicina sono le cose tipiche: l’ossessività, le idee di incapacità personale, la tendenza al perfezionismo, l’insoddisfazione verso il proprio corpo o l’insicurezza. Queste sono le cose le accomunano ma poi tutto il resto può cambiare molto, ci possono essere situazioni molto diverse.


Coinvolgere i familiari nel percorso di cura non solo è fondamentale, ma in alcuni casi è talmente importante che personalmente, senza il coinvolgimento dei genitori in un percorso di cura, non prendo in carico alcuni pazienti. Per me è una condizione sine qua non altrimenti non vedo successo nella terapia ed è inutile iniziarla. Pensare di portare, soprattutto un minore, da uno psicoterapeuta e pensare che occorra“ guarirlo perché è lui che ha la malattia” non serve a nulla.

Il Tempo è un limite per tutti, ma è anche una risorsa, perché è quello che ci permette di poterci calare nel mondo. Il tempo va considerato, perché quando c’è l’angoscia il tempo si restringe. Un lavoro importantissimo che noi noi cerchiamo di fare è quello di far vedere alle persone che il Tempo è necessario per fare cura. Se non c’è tempo non c’è possibilità di cura. È necessario prendersi del tempo, ridurre l’angoscia anche nei genitori a volte serve a “ fare tempo”, a dilatare il tempo.

Noi genitori dobbiamo assolutamente guarire dalla malattia dei nostri figli, perché se non lo facciamo non consentiamo ai nostri figli di essere slegati da noi. Questo è un grande sforzo. A volte l’amore richiede anche un dolore e qui ritorniamo all’inizio dell’intervista: “Eros e Pathos” diceva Aldo Carotenuto. È come una moneta che ha due facce: quando c’è Eros e quindi c’è amore, bisogna prepararsi anche al dolore, se io ti amo devo anche saper rinunciare alla mia malattia per aiutare te a guarire.





288 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Eleonora

Post: Blog2_Post
bottom of page