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Alessia


Questa malattia mi ha insegnato che nella vita è importante accettarsi, senza temere il giudizio degli altri, amarsi a prescindere dall’aspetto fisico che alla fine è solo un involucro.

Ora posso dire che “Mi guardo allo specchio e mi riconosco”.

 

Mi chiamo Alessia, ho 22 anni e in passato ho sofferto di binge eating, disturbo dell’alimentazione incontrollata.

Fin da piccola ho sempre avuto un corpo diverso da quello delle mie compagne.

A 6 anni sono stata ricoverata per accertamenti, per escludere il fatto che potessi avere il diabete.

Di quel periodo, ricordo la presenza costante di mia mamma e gli innumerevoli esami del sangue a cui sono stata sottoposta, fortunatamente con esito negativo.

Mi è stata prescritta una dieta che nel giro di poco tempo mi ha fatto perdere parecchio peso.

Per diversi anni è stato facile seguire la dieta perchè ero ancora piccola e quindi veniva gestita dai miei genitori.

Crescendo però si prende consapevolezza di se stessi e del mondo e rispettare questa dieta era diventato piuttosto complicato , non la seguivo più e mangiavo in modo disordinato fino a riprendere tutti i chili che avevo perso.

Durante la scuola media e durante le superiori ho iniziato a subire bullismo da parte dei miei compagni. Alle medie mi deridevano semplicemente per il mio aspetto fisico, mentre alle superiori ricordo che i miei compagni evitavano di sedersi vicino a me accusandomi di puzzare.

Quello per me è stato un periodo molto buio, lasciai la scuola e passai l’estate chiusa in camera con le tapparelle abbassate.

Il mio migliore e unico amico era il cibo e la mia ancora di salvezza la musica.

Per me il cibo era diventato una vera e propria dipendenza, mi aiutava a colmare quel grande vuoto che sentivo dentro.

Successivamente ho iniziato un percorso con una nutrizionista e con una psicologa, senza grandi risultati, perché io non volevo collaborare; non perdevo peso, anzi aumentavo perché continuavo a mangiare per far tacere quel grande malessere che mi pervadeva.

In quel periodo sebbene fossi grande e grossa, non riuscivo a vedermi per quello che ero e non capivo la gravità della situazione perché il mio corpo si era scollegato dalla mia mente.

Dopo questo percorso di terapia fallimentare la psicologa, d’accordo con la mia famiglia ha proposto il ricovero in una comunità terapeutica e sono entrata a Villa Miralago nel 2016.

La scelta di entrare in comunità non è stata mia, ma dei miei genitori.

Come la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi inizialmente non ho preso bene questa decisione, ma una volta entrata in comunità ho capito l’importanza che poteva avere per me quel luogo, che a distanza di anni ormai considero come una seconda casa.

La Comunità mi ha aiutato a conoscermi, mi ha insegnato a vedermi, a condividere le mie emozioni con altre persone anche se tutto questo ha comportato una grande fatica, ma credo che alla fine di ogni salita difficile si riesca sempre a godere di un panorama bellissimo.

E’ stato un percorso lungo e complesso, sono uscita dalla comunità nel 2018, forse un po’ intimorita ma con la forza e il coraggio di riprendere in mano la mia vita e viverla appieno.

Posso dire di avercela fatta, vivo la mi vita serenamente, esco con le mie amiche, vado in discoteca, sto lavorando per costruire la mia indipendenza e il mio futuro e non potrei essere più felice.

Comprendo di avere un grande bagaglio di esperienza e di dolore sulle mie spalle.

La sensibilità, l’empatia, avere un’amore incondizionato per il prossimo sono diventati per me i miei punti di forza e non più di debolezza come pensavo.

Ai ragazzi che soffrono di un disturbo alimentare vorrei dire di credere sempre in loro stessi, e di avere sempre la curiosità di andare oltre, di trovare il coraggio di guardare le cose belle che la vita ti riserva perché oltre al buio c’è sempre la luce, questo me lo disse una persona cara durante il percorso “ E’ nel buio che si possono vedere le stelle”.

Durante il periodo in comunità, una delle cose che più mi è servita è stato l’affetto della mia equipe e dei ragazzi che come me stavano affrontando la malattia.

Spesso anche solo con un abbraccio, una stretta di mano si dicono molte più parole di quanto si possa immaginare. Per me l’abbraccio in comunità è stato fondamentale, io avevo bisogno di un grandissimo affetto e questi abbracci mi hanno aiutata tantissimo.

Arrivavo da mesi, anni, di grande sofferenza, di grandi sacrifici, senza fidarmi di nessuno, se non di me stessa per il totale controllo che avevo sul cibo e sulle mie emozioni.

Lasciarmi andare, aggrapparmi a loro per me è stato uno spiraglio di luce in fondo al tunnel.

Per me, uno degli aspetti più difficili del percorso in comunità è stato esprimermi durante i gruppi.

Temevo di non essere capita, mi vergognavo e spesso rimanevo il silenzio ma ascoltavo tutto.

Mi sono resa conto, piano piano che quello che veniva detto in realtà era quello che provavo anch’io, non sempre nella stessa forma e modalità, ma in qualche modo tutto era collegato da un filo invisibile e questo mi permetteva di fare un lavoro su me stessa.

Mi sono resa conto che questi gruppi mi hanno dato la possibilità di aprirmi con la mia équipe ed acquisire una maggiore consapevolezza.

La mia psicologa mi ha sempre spronata ad aprirmi dicendomi che ogni storia può essere di aiuto ad un’altra persona che sta vivendo questa sofferenza.

A distanza di anni, penso che sia riuscita a trasmettermi questo messaggio, perché nonostante oggi io sto bene e vivo serenamente la mia vita, avverto la necessità di dare voce a quello che è stato il mio passato nella speranza di poter essere di aiuto a qualcuno.

Ho fatto molto fatica ad imparare ad amare Alessia, ho dovuto fare un grande lavoro, ricordare le situazioni dolorose che mi hanno fatto perdere la fiducia in tutte le persone. Oggi posso dire che il cammino è ancora lungo ma, rispetto a prima, ho imparato a valorizzare la persona che sono, la donna che sono diventata grazie a questo percorso.

Per me la comunità ha rappresentato una rinascita, in tutti i sensi, sotto il profilo fisico ma soprattutto mentale.

Spesso, quando si è nella malattia non si riesce a vedere una via di uscita, diventi tutt’uno con essa. Il mio corpo per diversi anni è stato una vera e propria corazza, quello che mi dava sicurezza e protezione e, non riconoscendosi, la mente e il corpo navigano in un mare in tempesta, fatto solo di brutti pensieri.


Poi arriva il momento in cui, in maniera del tutto naturale, decidi di voltare pagina e prendi consapevolezza delle persona che sei, di chi vuoi diventare e della strada che vuoi percorrere. Ricordo che, dopo aver perso molto peso, la mia psicologa mi ha detto: “adesso che sei arrivata a due cifre e non più a tre con il tuo peso, la tua corazza si sta sgretolando e ti stai concedendo la possibilità di liberarti di quel dolore che ti portavi dentro”.

Quando accade questo, quando decidi di voltare pagina, ecco, in quel momento capisci che puoi sognare un futuro migliore.

Il cibo a quel punto non è più un ostacolo, diventa un piacere e una condivisione con la tua famiglia, i tuoi amici.

Inizialmente io non conoscevo i disturbi del comportamento alimentare, sapevo che esisteva l’anoressia perchè causa un’evidente magrezza; sapevo che alcune persone vomitavano, ma non immaginavo che si trattasse di malattie, anche il mio disturbo è stato confuso con l’obesità, io stessa ero convinta che con una dieta adeguata avrei risolto il problema. Poi ho capito che prima è necessario curare la mente, e poi il fisico. Occorre lavorare in parallelo.

Questa malattia mi ha insegnato che nella vita è importante accettarsi, senza temere il giudizio degli altri, amarsi a prescindere dall’aspetto fisico che alla fine è solo un involucro.

Ora posso dire che “Mi guardo allo specchio e mi riconosco”.



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Eleonora

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