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Carla


E’ stato un periodo difficile, soprattutto quando un giudice mi ha chiesto di scegliere tra la mamma e il papà. Mi sono trovata all’età di 14 anni, tra due persone che amavo ma che tra loro non si amavano più.


 

Sono Carla, ho 23 anni e soffro di anoressia nervosa da 10.

Inizio il mio racconto da una cosa molto bella: sono fidanzata da sei anni e convivo col mio ragazzo, anche se in questo periodo siamo forzatamente distanti. Lui e i miei genitori sono il motivo per cui riesco ad andare avanti, loro mi hanno salvato la vita.

Vorrei diventare una veterinaria perché amo moltissimo gli animali e sono stati sempre la mia grande passione. Questa è una cosa che ho sempre sentito dentro di me ed è in questa professione che vedo il mio futuro.

Io ero una bambina felice e molto ingenua. La mia famiglia mi ha fatto vivere un’infanzia molto bella: allora pensavo che i miei genitori si amassero anche se poi mi sono resa conto che forse la realtà era diversa. Ho molti ricordi felici di noi quattro insieme.

Mio padre è pugliese, la mamma è per metà sarda quindi io sono un bel pot-pourri e sono molto legata alla Puglia dove ho sempre ritrovato gli zii e i nonni a cui tengo tantissimo. Ho dei bellissimi ricordi delle vacanze salentine con mia sorella.

Poi qualcosa ha fatto crack, si è rotta l’armonia.

C’è stato questo fulmine a ciel sereno che mi ha fatto crescere in un lampo, iniziavo a percepire che i miei genitori non andavano più d’accordo, poi sono seguite le litigate, i ritrovamenti di fotografie sminuzzate e tante brutte cose.

E’ stato un periodo difficile, soprattutto quando un giudice mi ha chiesto di scegliere tra la mamma e il papà. Mi sono trovata all’età di 14 anni, tra due persone che amavo ma che tra loro non si amavano più.

Queste complesse dinamiche tra i miei genitori le ho comprese dopo anni. Per starmi vicino nella malattia, si sono riavvicinati. Tra di loro non era più il rapporto di prima, ma hanno fatto di tutto per stare accanto a me e a mia sorella.

La mia reazione al terremoto che aveva distrutto l’equilibrio familiare è stato il disturbo del comportamento alimentare, mentre mia sorella potrei dire che ha trovato “una nuova casa”. Per me è stato molto difficile accettare questa cosa: io sono cresciuta con lei, per me era un punto di riferimento fondamentale.

Durante i miei ricoveri starmi accanto probabilmente la faceva soffrire troppo, ma rimane una delle persone più importanti della mia vita.

Giuseppe, il mio ragazzo si è fatto in quattro: guidava da Crema tre/quattro volte la settimana fino al Niguarda e ritorno. Lui c' è sempre stato per me, ancor di più nel momento del bisogno.

Il mio disturbo alimentare è nato in una maniera graduale. Io e mia sorella ci eravamo avvicinate molto facendo parecchio sport. Insieme abbiamo cercato uno stile di vita sano facendo camminate e corse. Tutto è partito da quello, durante un’estate.

Io non mi rendevo conto che fosse diventata una malattia. Per anni sono stata seguita da una biologa-nutrizionista che mi dava degli integratori da bere. Ricordo che io tenevo tantissimo alla scuola e sono arrivata alla maturità col “nutri-drink” sul banco mentre tutti i miei compagni avevano le merendine. Era l’unica cosa con cui potevo nutrirmi.

Sono stata seguita per quattro anni da questa nutrizionista che in realtà si era approfittata della mia situazione senza preoccuparsi di fare ulteriori approfondimenti sulla mia malattia. Non mi è mai stato detto che soffrivo di un disturbo e quindi per me era diventata una cosa normale seguire un piano alimentare.

Per me le parole anoressia, bulimia, binge eating erano solo termini che avevo sentito ma erano cose lontane. In realtà io avevo tutti i sintomi dell’anoressia nervosa restrittiva.

Sono peggiorata a tal punto che il supporto di una biologa non bastava più. Sono stata seguita un anno da una psicoterapeuta che ci faceva fare terapia familiare.

In questo periodo il sintomo si acutizzò molto e alla fine la psicoterapeuta mi abbandonò dicendomi che il suo lavoro era “collusivo col mio sintomo” e quindi mi faceva stare peggio. Mi disse chiaramente di farmi seguire da qualcun altro. La malattia si estremizzò sempre più, fino al punto in cui smisi completamente di mangiare.

Sono stata ricoverata d’ urgenza al Niguarda nel reparto di nutrizione clinica dove pernottai per quattro mesi. Ero seguita da un' équipe multidisciplinare.

Questo periodo fu seguito da un anno e mezzo di day hospital quotidiano in cui impiegavo un’ora e mezza per andare, tutto il giorno in quella struttura e di nuovo un’ora e mezza per tornare. I miei genitori mi accompagnavano alle 8 di mattina e mi riprendevano alle 16.30 del pomeriggio. Successivamente sono stata ricoverata nuovamente per nove mesi. Mi hanno salvato la vita. Fu un periodo durissimo, dopo il quale fui domiciliata con sondino naso-gastrico a casa, senza speranze.

Dopo la domiciliazione una nuova speranza mi è stata data a Villa Miralago.

Sondino, svenimenti,TAC, bradicardia, pressione a 50/30, carrozzina, allettamento, psicofarmaci, flebo, flebiti, trombosi. Questa per me era diventata la normalità. O credevo che lo fosse.

Il mio cervello tende a dimenticare gli episodi della mia vita che mi hanno fatto soffrire, tanti fatti li ho ricordati durante i colloqui con l’équipe. Ho ricordato tante cose brutte in questi anni di cure. I pregiudizi con cui venivo trattata fin dalle elementari perché provenivo da un piccolo paesino, il bullismo verbale fino alle superiori comprese, commenti negativi sul corpo nonostante fossi normopeso sia da parte dei parenti che da professori e compagni, le delusioni nelle amicizie in cui io davo tutto e perdevo sempre.

Per me lo specchio è una dura prova, oggi ho scoperto di essere arrivata ad un peso che non raggiungevo da quando ero seguita dalla biologa di cui parlavo prima. Io non riesco ad accettarlo, non riesco a stare con questo peso, mi vedo malissimo.


Mi fa tanta paura lasciare la malattia, che ormai era diventata un a stampella, un porto sicuro.


Non so se sarei qui senza l’aiuto e il supporto del mio ragazzo. Nel percorso di cura quello che faccio lo faccio per queste tre figure: il mio ragazzo e i miei genitori.. però non riesco a fare niente per me stessa. Se fossi da sola mi lascerei completamente andare e questa cosa mi fa paura perché per guarire penso debba partire qualcosa da me, ma sto aspettando che arrivi e non so come fare.

La cosa che mi spaventa di più è che quella voce che deve nascere dentro di me e mi dice “fallo per te Carla”, non arrivi. Mi sembra più semplice pensare di farlo per un “noi”, di cui io sono parte attiva.

Io ce la sto mettendo tutta e mi stanno aiutando tantissimo dal punto di vista nutrizionale, nel senso che ho messo peso, più o meno accettato. Sto provando dei cibi che non mangiavo da anni, penso di aver fatto tanti piccoli passi.

Per combattere questa malattia ci vuole una forza invincibile perché devi combattere contro una parte di te stessa. E’ come voler uccidere una parte di sé, perché la malattia si aggrappa e ti comanda. Non so che fondo vuole che si tocchi questa maledetta malattia. Le voci all’inizio sembrano esterne, poi diventano le tue voci. A volte ho nostalgia di cose assurde, che mi fanno soffrire. Questa voce penetrante della malattia mi dice che sono inadeguata, che così faccio schifo, che non verrò accettata, che il mio corpo non riflette quanto stia male e quanto dolore ho nel cuore. Lei vorrebbe che fossi visibilmente sofferente, invece la vera Carla dice che vorrebbe diventare veterinaria e magari lavorare con Giuseppe, aprire qualcosa insieme, creare una famiglia, dei figli, e con loro andare al mare. Avere i nostri animali da curare.

I miei genitori sono esausti, io non so se lo sono, non so che fondo vuole che tocchi questa maledetta malattia.

Ora ho fame di normalità, perché questa malattia mi ha rubato tanto di quello che una persona della mia età si meritava.

Io so di essere amata e farei di tutto per le persone che amo, farei qualunque cosa per vederli felici e per non farli soffrire più.

Questa malattia mi pone sempre di fronte ad un bivio. Se io riesco a combatterla posso avere una vita insieme a Giuseppe, posso studiare, posso amare.. quando la malattia ha la meglio, però, tutto questo scompare.

Penso che la bellezza sia da cercare nelle piccole cose, una coppia di anziani che si danno un bacio, un bimbo che sorride.





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Eleonora

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