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Elisa


"...Ricordo le loro parole “fermati, fermati”, ma non ottenevano risultati, perché la malattia era più forte del loro amore e della loro disperazione..."


 

Sono Elisa, ho 21 anni vivo coi miei genitori nelle Marche e sono figlia unica.

La mia grande passione era il pattinaggio artistico, ma in seguito ad un grave incidente che mi ha causato delle fratture alle vertebre ho dovuto abbandonare.

Però ne ho coltivata un'altra passione che consiste nel trucco, vorrei diventare make up artist e qui mi esercito truccando tutte le mie amiche.

Dopo le scuole superiori mi sono trovata subito un lavoro come segretaria, poi mi sono ammalata e non sono più riuscita a lavorare.

Penso ci siano state molte cose nella vita che mi hanno turbato ed hanno inciso sulla malattia. Il lavoro stesso, ci andavo mal volentieri perché venivo sempre derisa e trattata molto male. Il capo ufficio si divertiva a sfottermi in ogni momento, tutte le mattine temevo di sentire quella voce che mi diceva che non ero in grado di far nulla e creavo solo confusione, in realtà non era affatto così. Lui si divertiva a prendermi in giro senza rendersi conto che mi feriva continuamente ed io stavo sempre peggio.

Andavo da una nutrizionista per perdere qualche chilo, poi mi è scomparso il ciclo e mi hanno consigliato di rivolgermi ad una ginecologa, che non è stata di grande aiuto, non rispondeva alle telefonate, mi diceva solo di prendere la pillola. Dopo la pillola il ciclo mi arrivava più volte al mese causandomi la perdita di peso. Quando ho deciso di cambiare ginecologo ho avuto conferma che quel tipo di pillola non era adatta a me, e mi stava creando molti problemi.

Non credo molto nell’amore perché ho avuto troppe delusioni. La prima esperienza con un ragazzo durò quattro anni che non mi ha dato gioia, mi ha procurato solo sofferenza, io giustificavo questo ragazzo, senza riuscire a staccami da lui perché lo amavo tantissimo. Sono riuscita a liberarmi di lui solo quando ho compreso che l’amore rende felici, non lascia lividi sul cuore.

Durante il primo lockdown ho iniziato ad allenarmi a casa con mia madre, ma non avevo ancora problemi col cibo, ho iniziato a restringere quando mi sono rotta un dito e non potevo frequentare la palestra.

Questa malattia è un brutto mostro, non vivevo più. Ero ossessionata dal cibo, contavo tutte le chilocalorie, se mangiavo dovevo camminare e fare sport nonostante nell’ultimo periodo non fossi più nemmeno in grado di camminare perché avevo perso la sensibilità nelle gambe. Perdere parzialmente l’uso delle gambe è stato drammatico, soprattutto capire a cosa fosse dovuto.


Per me il cibo era diventato un nemico, ne ero terrorizzata, ora ho capito che senza cibo una persona non può vivere, è quell’energia che dà all’essere umano la possibilità di andare avanti.

Quando mangiavo la malattia mi imponeva di bruciare immediatamente le calorie che avevo ingerito e mi impediva di stare ferma.

Sentivo insistentemente una voce che mi diceva “cammina, cammina, non stare ferma, brucia. Se non bruci non puoi mangiare”. Io ero distrutta, nell’ultimo periodo ero stanca di camminare, ma lo dovevo fare perché altrimenti mi sentivo terribilmente in colpa. Mi rendevo conto di essere debole e che mi stavo ammalando, volevo uscire da questa situazione ma non ce la facevo perché questa voce era sempre più forte e non riuscivo a liberarmene. Ero sua prigioniera.

Da quando sono qui questa voce non la sento più. Ho deciso di curarmi perché mi sono resa conto che stavo morendo.

Mi hanno ricoverata in ospedale, dove facevo quello che volevo, perché nessuno mi imponeva di stare ferma, camminavo tutto il giorno. I miei genitori erano disperati.

Ho deciso infine di cercare in Internet una struttura che mi potesse aiutare veramente. Ho chiamato ma mi è stato risposto che c’erano dei tempi d’attesa piuttosto lunghi, ho optato per una struttura più vicina a casa dove si sono resi conto che ero gravemente sottopeso e non sarebbero stati in grado di aiutarmi e mi hanno inviata qui.

Io ero consapevole della malattia, avevo deciso di staccarmi da quella compagna che mi stava togliendo tutto, le uscite con gli amici, il rapporto con i miei genitori. Mi sottraeva tempo e la vita stessa. L’unica cosa che mi era concessa era camminare da sola.

Ho provato una solitudine infinita, mi sentivo abbandonata da tutti, anche se i miei genitori non mi hanno mai lasciata sola, cercavano di aiutarmi. Ricordo le loro parole “fermati, fermati”, ma non ottenevano risultati, perché la malattia era più forte del loro amore e della loro disperazione.

Non ho mai mentito ai miei genitori, ma non vedevo nient’altro che malattia, non provavo più alcun sentimento, non ridevo più, non scherzavo più, ero solo avvolta dalla tristezza.

Leggevo sul mio volto solo stanchezza e tristezza. Ora lo specchio lo considero un amico perché mi permette di vedere i grandi passi in avanti che ho fatto da quando sono entrata in comunità, la mia fisionomia è cambiata. Mi piace rivedere il mio viso con le fossette che erano scomparse, prima vedevo solo uno scheletro con due grandi occhi colmi di lacrime.

Mi trovo nella comunità Ginestra perché al mio arrivo ero molto grave per via della mia iperattività, persino quando apparecchiavo facevo mille giri tra i tavoli, perché se non facevo un determinato numero di passi non riuscivo a mangiare.

In comunità si fanno anche attività creative, oltre al trucco a me piace anche la moda, adoro disegnare abiti. Per me l’arte è l’espressione dei sentimenti, una valvola di sfogo.

Adesso ho un po’ rallentato questa attività, preferisco passere più tempo con le amiche e parlare con loro. Ho riscoperto il confronto. Appena entrata qui non ero per nulla socievole, ero chiusa in me stessa, non sorridevo e stavo sempre in disparte.

Qui dentro ho riscoperto anche il valore dell’abbraccio che dà forza, che ti sostiene. Questa comunità mi ha restituito la vita che avevo perso e mi ha fatto ritrovare Elisa.

Qui dentro non esiste il giudizio, che ha sempre pesato molto su di me, soprattutto quando venivo derisa perché avevo qualche chilo di troppo.

Non so esattamente cosa sia la bellezza, è un concetto che non è per tutti uguale. Penso sia quello che ognuno ha dentro di sé, quella cosa che non sfiorisce mai, neppure col passare degli anni. Anche se la bellezza la malattia me l’ha portata via.

Per affrontare questa malattia è necessaria una grande forza, non bisogna mai abbattersi, se molli la malattia ti sommerge, devi cercare di essere più forte di lei.

È stato un percorso durissimo, ho dovuto utilizzare la sedia a rotelle per parecchi mesi. Quando sono arrivata sono stata alimentata con il sondino anche se volevo ricominciare a nutrirmi normalmente.


Qui dentro credo di essere diventata una persona più forte. Non devi mai perdere di vista il tuo obiettivo che è la vita. La libertà è spensieratezza, essere sé stessi, liberi di poter fare ciò che ami senza temere i giudizi. Vorrei ricominciare, spiccare il volo verso la vita che è la cosa più preziosa, questo l’ho capito solo ora, perché quando mi trovavo in ospedale non volevo più vivere, volevo solo lasciarmi andare e scomparire.

In questo momento il mio desiderio è tornare a casa guarita, stare con la mia famiglia e realizzare il mio sogno di diventare make up artist.

Il rispetto per me stessa è guardarmi allo specchio e dire: “che bella ragazza ho davanti a me e sorridere”. Ora che ho ritrovato il sorriso, sorriderò sempre, e non permetterò più a nessuno di portarmelo via.

Mi sono ritrovata e questo mi sta sostenendo nel percorso per combattere la malattia.

Adesso non mi spaventa uscire dalla comunità, so che si esce diversi ma questo cambiamento non mi fa paura perché non voglio più ricadere in quella brutta malattia. Ne sono convinta perché come ho detto prima non vivevo più, mentre adesso ho ricominciato ad essere felice.

Ai miei genitori vorrei dire che mi mancano tanto e li ringrazio di avermi dato fiducia e di avermi portata qui.

Ho deciso di raccontarmi per condividere la mia storia, perché molte persone hanno paura di chiedere aiuto ma è necessario chiederlo quando si comprende di essere malati, perché da questa malattia non si riesce ad uscirne da soli.

I terapeuti sono stati fondamentali, altrimenti quella voce mi avrebbe distrutto. Loro mi hanno aiutato a metterla a tacere e sono rinata.

Sono pronta a voltare pagina e a scrivere una nuova storia.






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