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Eugenia Dozio


Noi cerchiamo di dare agli ospiti una prospettiva differente, ampliare la conoscenza delle questioni alimentari, della salute, del fatto che mangiare è una condizione necessaria dell’uomo.


 

Sono Eugenia Dozio, coordinatrice dell’équipe nutrizionale a Villa Miralago.

Mi occupo degli aspetti clinici nutrizionali e organizzativi dell’equipe nutrizionale all’interno della comunità;

Il mio lavoro con gli ospiti è fondato sul far comprendere il valore dell’atto di alimentarsi. La salute dipende anche dallo stato nutrizionale dell’individuo e deve assumere un significato diverso da “il peso e il grasso” pensieri costanti delle nostre pazienti.

Il momento del pasto è quello in cui si consuma il dramma. Noi cerchiamo di dare agli ospiti una prospettiva differente, ampliare la conoscenza delle questioni alimentari, della salute, del fatto che mangiare è una condizione necessaria dell’uomo. Ma c’è molto altro, la riscoperta del gusto, dei sapori, di una dieta sana ed equilibrata. Tutto questo per loro è solo una teoria, ma vivendola quotidianamente accanto a noi, ogni giorno si semina qualcosa. Tutta l’équipe lavora perché le pazienti possano staccare il pensiero ossessivo del cibo e delle sue conseguenze.

Costruire un rapporto di fiducia equilibrato con i pazienti è impegnativo, inizialmente non conoscendoci, dobbiamo cercare di accogliergli nel modo migliore. Trascorso un certo lasso di tempo, spesso si crea un’intesa a volte una sorta di dipendenza ed il paziente non vorrebbe deluderci. Noi pur cercando di mantenere la loro fiducia, dobbiamo progressivamente svezzarli.

I momenti più difficili sono quando ci troviamo di fronte a delle reali sconfitte, quando leggiamo troppa sofferenza, quando vediamo che la malattia è più forte. In questi casi risulta difficile mantenere una relazione esclusivamente professionale. È impossibile condividere mesi, anni con pazienti sofferenti e non portarne a casa una parte. Occorre imparare a dosarsi nella professione e nella relazione umana. Quando ho iniziato a lavorare qui i miei figli erano coetanei dei pazienti e lo sono tutt’ora, difficilissimo non farsi coinvolgere e mantenere separate le due cose.

Per questo fortunatamente c’è l’equipe multidisciplinare che mi ha aiutato e dato indicazioni preziose per affrontare il mio lavoro.

La fretta e il tempo sono temi costanti, i pazienti e i loro famigliari pensano che noi possiamo definire il tempo della riabilitazione nutrizionale. In realtà sono domande a cui non siamo in grado di rispondere. Ho imparato che l’attesa, l’elaborazione richiedono tempi lunghi e che è questa una strada per la cura. Talvolta sembra che, dopo tre mesi, nulla sia cambiato, ma anche il rifiuto, le sconfitte e le ricadute sono utili a trovare la strada: tutto può essere utilizzato per la cura in modo costruttivo anche a dare una maggiore sicurezza al paziente quando si ritroverà senza l’équipe curante.


All’inizio i genitori faticano a riporre la loro fiducia in noi, poi progressivamente le cose migliorano, e si costruisce un rapporto che risulta anche molto utile. Questo a volte non e’ possibile quando il rapporto tra il figlio e la famiglia è malato. Il coinvolgimento della famiglia viene deciso dall’équipe, ovvio che il genitore fa comunque parte della vita del paziente, non si può escluderlo, si può però rimettere in gioco il rapporto tra figlio e genitori, trovando la giusta strategia.

Tutti abbiamo bisogno di aiuto, dagli operatori, ai pazienti, alla famiglia, nessuno può agire in modo autonomo, perché il sostegno è fondamentale per tutti e molto di più lo è per la famiglia, che deve disporre di strumenti adeguati a portare avanti la cura dei figli. I familiari e tutte le persone che ruotano attorno alla malattia necessitano comunque di un sostegno e soprattutto un luogo dove poter riversare le loro ansie, le loro angosce, da rielaborare con persone competenti. Un genitore che non dispone di strumenti adeguati può involontariamente ostacolare il percorso di cure con una frase o una parola sbagliata.

Ogni paziente ha la sua storia e la sua peculiarità che vanno analizzate, elaborate, successivamente l’équipe prende delle decisioni e dà alla famiglia adeguate indicazioni. Anche i nutrizionisti non lavorano individualmente neanche sull’aspetto nutrizionale, anche quando il paziente versa in condizioni precarie, occorre comunque confrontarsi con l’équipe e prendere delle decisioni collegiali.

Non accade mai che un paziente all’arrivo accetti il piano alimentare senza fatica e sofferenza. Noi crediamo in questa sofferenza e fatica perché sappiamo che elaborare tutto è complicato e che questi sintomi sono un segnale che indica che il paziente sta lavorando autenticamente, si sta aprendo alle cure e che possiamo essere fiduciosi. All’inizio alcuni pazienti si adattano alle nostre proposte, senza esserne partecipi, solo in un secondo momento decidono di aprirsi veramente al percorso.

I permessi di rientro a casa servono per verificare l’efficacia del percorso di cura; perché il paziente ritorna nel luogo dove è stato male, ritrova le abitudini e le persone collegate al periodo di difficoltà: luoghi e situazioni strettamente connesse all’insorgenza della malattia. Questi momenti devono essere rielaborati dal paziente al fine di rimuovere le parti malate e ricostruire qualcosa di sano. Non sempre le persone che incontrano nuovamente sapranno gestire la situazione, occorre che i pazienti comprendano che nel corso della loro vita ci saranno sempre momenti così e che trovino le risposte senza stare male.

La questione del controllo è un altro tema che va affrontato ed elaborato coi pazienti che sono costantemente concentrati sull’apporto calorico, il contenuto dei grassi e la ricerca del cibo che contiene meno nutrienti. Si rende quindi necessario rielaborare queste idee, trasformandole in pensieri sani e non ossessivi.

Il momento di maggior gratificazione per noi è osservare il cambiamento, vedere il paziente che affronta la cura con consapevolezza, inizia a porsi delle domande reali circa i suoi bisogni e da passivo diventa attivo. È una grandissima gratificazione vederlo iniziare a lavorare in modo proficuo e costante anche se ci saranno ancora momenti difficili che come ho già detto saranno punti di forza per la cura

L’altro giorno mi è successa una cosa meravigliosa, ero a Varese per una commissione e sono stata attirata dalla vista di una ragazza che stava mangiando una patatina ridendo con un ragazzo che le stava accanto. Mi sono detta, guarda questa ragazza solare e sorridente mentre mangia una patatina, un cibo fobico per chi soffre di DCA. Ho pensato“sarebbe un’immagine da portare come esempio”; poi l’ho osservata meglio ed era una nostra ex paziente. È stato veramente incredibile.



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Eleonora

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