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Federica


" Ho iniziato a nascondere i coltelli, a togliere le chiavi da tutte le porte, a tenere le tapparelle abbassate perché avevo il terrore che si buttasse dalla finestra, e praticamente le facevo da cane da guardia, perché quando la lasciavo sola sbatteva la testa contro il muro, contro qualsiasi cosa "


 

Ciao sono Federica, la mamma di Giulia che si trova a Villa Miralago da sei mesi perché soffre di anoressia nervosa. Il 13 ottobre compie 15 anni. Ci siamo resi conto di quello che stava succedendo all’incirca un anno e mezzo fa, aveva tredici anni, subito dopo il lockdown Giulia ha iniziato a non voler più introdurre carboidrati, mi aveva chiesto di non mangiare più la pasta e il pane, dicendomi che il lockdown era stato un po’ incisivo circa il fatto che chiusa in casa aveva mangiato un po’ più del solito, pizze e cose del genere e devo dire che al primo momento l’ho assecondata. Dopodiché abbiamo visto che mano a mano le sue porzioni continuavano a diminuire e in più lei, che non era stata mai una ragazzina molto attiva, tanto è vero che non le piacevano gli sport, muoversi e camminare, ha cominciato a voler andare in palestra, a fare delle camminate in montagna alla domenica e noi eravamo anche contenti perché comunque ci si muoveva, vedevo che lei cominciava ad amare anche la natura. Poi ho iniziato a vedere che cominciava a diventare una cosa esagerata e le ho detto “Giulia se vuoi avere una alimentazione sana a me va bene, ma sana è una cosa, non mangiare è un’altra”. Lei mi ha rassicurata dicendo che non pensava minimamente a digiunare, finché siamo arrivati al 15 agosto, dove lei ha chiuso completamente la bocca, non ha più mangiato né bevuto. Mi sono subito allarmata, ho chiamato immediatamente una psicologa che già ci seguiva per altri problemi, l’ho portata da lei subito dopo il rientro dalle vacanze, il 27 agosto e anche questa psicologa, dottoressa Caputo, che mi dice che Giulia soffre di un inizio di anoressia nervosa, se ne accorge perché ne aveva sofferto anche lei da giovane, così mi attivo subito.

Avevo sentito parlare di anoressia, ma come molti ignoravo le cause, la reazione era stata “ma facciamoli mangiare!” Però mi sono resa conto che il problema non è quello, il cibo è forse uno degli ultimi aspetti del problema, si tratta di una cosa molto più profonda, dell’anima, e la cosa brutta è che sei convinta di essertene accorta per tempo e invece, col passare del tempo e parlando con la psicologa e con Giulia (perché la cosa bella è che mia figlia ha parlato con me e mi ha chiesto aiuto) mi sono resa conto che forse il problema c’era da anni. Poi è scoppiata la bomba, un po’ il Covid, un po’ gli esami di terza media. Lei era convinta di uscire con un voto e invece è uscita con un altro perché aveva un po’ di problemi con alcuni professori che non l’avevano presa molto in simpatia, aveva visto che alcune ragazzine che magari non avevano studiato erano uscite col nove mentre lei era uscita con l’otto e lei forse si aspettava che andassi dalla professoressa, io invece le ho detto che non importava con quanto fosse uscita, ma quello che sapeva, “dimostrerai quello che sei, non ti preoccupare”. Ho anche scoperto che tra i nove e dieci anni ha subito bullismo, mi ha detto che in classe la chiamavano “balena”, senza capire perché dato che lei non è mai stata grossa, era una ragazzina normale in crescita. Questa cosa l’ha tenuta dentro, è accaduto anche alle medie perché molti compagni si sono trovati nella sua classe, è stata una delle prime a svilupparsi quindi lei dice che molti ragazzi le facevano degli apprezzamenti o fingevano di sfiorarla e lei non ha mai avuto il coraggio di dirmelo. E quindi molto probabilmente iniziando la prima superiore ha voluto dimagrire un po’ per essere accettata, il problema è che ha perso il controllo, non ce l’ha fatta più, un giorno mi ha detto che aveva visto di essere scesa a 50 kg, ha iniziato a chiedersi perché non a 49, poi perché non a 48 e poi è stata proprio una lotta, non si sedeva più a tavola, se io la costringevo c’erano attacchi di panico, tremava, sembrava che le mettessi davanti qualcosa di orrendo.


Alla fine mi sono mobilitata, ho chiamato l’Auxologico San Luca di Milano, dietro suggerimento della mia dottoressa di base. Chiamo il 28 agosto e mi danno appuntamento per il 14 di ottobre, a me sembrava un’attesa infinita perché ho pesato mia figlia e mi sono resa conto che in quindici giorni aveva perso 12 kg., un calo drastico, tant’è che quando, subito dopo, l’ho portata a Niguarda mi hanno chiesto se ero certa che li avesse persi in così poco tempo. Da lì è iniziata la scuola che lei ha frequentato per tre o quattro giorni ma era pallida, bianca, sudava persino per la fatica che faceva, apparentemente sembrava forte, ma nei suoi occhi io leggevo la fatica. Il 19 settembre abbiamo deciso di portarla in ospedale ma sinceramente non volevamo farlo, semplicemente volevamo farla spaventare, pensando che se ci avesse visti così risoluti a portarla là avrebbe avuto paura di rimanere bloccata in ospedale e avrebbe reagito. Invece lei ha accettato, silenziosa, non ha chiesto niente, le ho preparato lo zainetto e l’abbiamo accompagnata in ospedale.

Da lì è iniziato il calvario perché quando l’ho portata in ospedale, per quanto mi fossi accorta di cosa stava succedendo, non pensavo che fosse così grave. Quando le hanno fatto tutti gli esami e il cardiogramma mi hanno detto che dovevano ricoverarla immediatamente, non per il calo di peso, ma per il battito a 26 e, mi hanno mostrato l’ecografia dove si vedeva che c’erano problemi seri al cuore e anche i reni iniziavano a non funzionare più, io sono entrata nel panico perché la dottoressa mi ha detto che, se l’avessimo tenuta a casa ancora un paio di giorni, non avrei più svegliato mia figlia. Si domandavano come facesse a stare ancora in piedi.

Giulia mi ha guardata e mi ha detto che non immaginava di stare così male, perché si sentiva forte, in quel momento è cominciato l’incubo perché ha proprio iniziato a rifiutare di mangiare, andava fuori di testa, faceva e diceva cose inverosimili, era fuori di sé, si è anche strappata la flebo, voleva scappare dall’ospedale: Poi ha iniziato a reagire quando è iniziato il day hospital, si è accordata con la sua nutrizionista di iniziare a mangiare il riso, ma è aumentata la depressione e da lì ha iniziato a tagliarsi e quando le ho chiesto perché facesse così mi ha risposto che voleva mostrarmi quanto soffrisse, riteneva che fosse l’unico modo per mostrarmi il dolore che aveva dentro.

Allora io mi sono rivolta subito all’ATS di competenza, quella di Busto Arsizio, dove ho incontrato un neuropsichiatra che è stato meraviglioso, e da lì abbiamo avviato le pratiche per Villa Miralago.

E’ stato un susseguirsi di avvenimenti sempre più tristi. Ho iniziato a nascondere i coltelli, a togliere le chiavi da tutte le porte, a tenere le tapparelle abbassate perché avevo il terrore che si buttasse dalla finestra, e praticamente le facevo da cane da guardia, perché quando la lasciavo sola sbatteva la testa contro il muro, contro qualsiasi cosa, suo fratello era terrorizzato e non usciva più dalla sua stanza, si era reso conto che sua sorella aveva bisogno di aiuto, ma non voleva vedere cosa faceva, stava anche lui veramente male, non aveva gli strumenti per reagire, del resto non li avevo io stessa.

Dopo quattro/cinque mesi dalla domanda di ricovero, finalmente Giulia è entrata a Villa Miralago.

Di fronte a questa malattia dico sempre che in 47 anni della mia vita ho superato tante cose, tanti dolori, ma questa volta ho avuto tanta paura e mi sono sentita per la prima volta piccola, debole e vulnerabile, perché non potevo fare niente per mia figlia, e mi rendo conto oggi che più cercavo di aiutarla, più cercavo di darle forza, e più la distruggevo perché alimentavo la malattia, ero convinta che spronandola potessi aiutarla e invece alimentavo la malattia e questo odio che secondo me lei involontariamente covava nei miei riguardi.

Era fuori di sé, in alcuni momenti ho avuto paura di lei, perché mi sono resa conto che era irriconoscibile; ne parlavo anche con mio marito, in alcuni momenti percepivo come se ci fosse qualcuno dietro di lei che la teneva per mano e la spingeva a fare certe cose. Ho pensato anche che stessi andando io stessa fuori di testa, era una situazione che uccideva me, l’equilibrio familiare e le sicurezze che fino ad allora avevamo avuto.

Tutto è crollato e si è sgretolato, ero convinta di aver agito bene, ero convinta che dando fiducia e disponibilità al dialogo avessi fatto un buon lavoro e invece mi sono sentita inutile per lei, quasi un peso, perché sentivo anche su di me un peso e non capivo più nulla. Ne ho parlato anche con la dottoressa che la segue a Villa Miralago, ho cercato, forse sbagliando, di mostrarmi sempre forte ai suoi occhi, ho cercato di non piangere mai, perché c’era già mio marito che in quel momento l’ha presa male, ho visto la sua fragilità. Ricordo il giorno in cui si è messo per terra con nostra figlia e si è messo a piangere come un bambino, in diciotto anni non l’avevo mai visto piangere, mi sono detta che non potevo crollare anch’io, perché se lo avessi fatto sarebbe stata la fine. Forse ho sbagliato, forse mia figlia doveva vedere che anch’io ero debole, potevo crollare, invece ero convinta che una cosa così l’avrebbe resa ancora più vulnerabile. Sono andata avanti con la mia forza, convinta di essere forte, dovevo fare qualcosa per lei, dovevo aiutarla.

A Niguarda Giulia non si era trovata bene, sebbene l’equipe fosse spettacolare, perché tendono di più a valorizzare l’aspetto nutrizionale, mentre credo che invece molte ragazze abbiano soprattutto problemi psicologici e abbiano bisogno di altro, di parlare; è vero che la dottoressa mi diceva che in quel momento Giulia non aveva abbastanza forza fisica e di volontà per poter parlare tanto, ma lei aveva voglia di parlare, me lo diceva. Poi, quando Giulia mi ha chiesto di andare a Villa Miralago, egoisticamente ho avuto paura, ho pensato che mia figlia non avesse più bisogno di me, che senza esprimerlo apertamente mi dicesse che ero inadeguata e non potevo aiutarla; ho sofferto perché mi sono sentita messa in disparte.

Quando l’ho lasciata a Miralago ho provato una grande sofferenza: ho tre figli ma con lei ho sempre avuto un rapporto di complicità, facevamo le cose insieme, cucinavamo, facevamo un sacco di lavoretti manuali, come le palline dell’albero di Natale, a lei piacciono molto queste attività e io in questo l’ho sempre accompagnata. Mi sono sentita sola, paradossalmente abbandonata da mia figlia.

Abbiamo avuto molti amici che hanno espresso solidarietà, ma penso che non abbiano capito a fondo quello che stava succedendo a mia figlia; i primi tempi cercavo di spiegarlo, anche ai parenti che mi chiamavano, poi ho capito che era inutile spiegarlo perché, se non si vive l’esperienza non si capisce, e se non si ha voglia di capirlo non ce la si fa, e diventa inutile spiegare.

La malattia di Giulia mi ha fatto capire che anch’io sono vulnerabile. Un giorno l’ho ringraziata perché il grande dolore che lei ha vissuto mi ha portato a fare un grosso lavoro di introspezione. Il mio vissuto, un po’ particolare, adesso sta uscendo, ho probabilmente sbagliato a concentrarmi esclusivamente sui miei figli, dimenticando me stessa.

Questo dramma mi ha dato modo di lavorare su me stessa. A Giulia dico che nulla arriva senza motivo, ci doveva essere una ragione, lei ha aiutato me e si sta aiutando da sola, questo mi rende fiera di mia figlia, è una grande ragazza, le dico di non vergognarsi mai di quello che è accaduto, perché può essere un esempio per tanti ragazzi, come del resto tutti i nostri figli che affrontano questa terribile esperienza.

Hanno una malattia che li porta a lasciarsi morire, ma dentro vogliono vivere e alla fine vivono, ce la possono fare, mia figlia me lo sta dimostrando tutti i giorni e io sono fiera e orgogliosa di lei.



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