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Lorena Locatelli




"Queste ragazze hanno un fame infinita, una fame di tutto. Hanno una fame fisiologica e una fame emotiva che non sanno gestire e si crea questo blocco che impedisce loro sia di chiedere aiuto che di mangiare: è una fame che ti fagocita se non riesci a riconoscerla "


 

Sono Lorena, lavoro a Villa Miralago dal 2014 e sono una chinesiologa e nell’ultimo anno ho lavorato come OSS perché ho anche questa qualifica.

Ricordo la prima volta che sono entrata qui, non sapevo neppure cosa fossero i disturbi del comportamento alimentare ma mi sono sentita subito benissimo ed è una cosa che non mi sono mai spiegata perchè provo la stessa sensazione ogni volta che entro, per me qui è un po’ come arrivare a casa, lo è stato anche quando non conoscevo niente e nessuno ed è una cosa inspiegabile

Mi piace molto lavorare in questo contesto, mi piace l’ambiente, il tipo di lavoro e il tipo di utenza. Mi sono trovata a mio agio da subito, ho trovato molto naturale lavorare in questa realtà, prendermi cura delle ragazze e comprendere le loro difficoltà, per me è stata una cosa molto spontanea. Penso che questo giunga anche a loro e questo pensiero mi gratifica molto.

In generale la chinesiologa si occupa dell’attività motoria, in particolare qui si occupa in ambito educativo-riabilitativo. Sicuramente c’è una parte motoria che riguarda l’apparato locomotore, che deve riprendere determinati canoni fisiologici, poi c’è tutta la parte educativa perché una delle maggiori disfunzioni di questo disturbo riguarda proprio l’ambito motorio, con l’iperattività o l’eccessiva sedentarietà nei casi di obesità. C’è tutta una parte di accompagnamento alla comprensione di quello che si fa e di quello che non si fa, che non sempre è così scontato, specialmente per loro.

Fare l’operatore socio-sanitario invece è un’attività più assistenziale, di accudimento vero e proprio, perché la loro deprivazione affettiva è grande ed è una cosa un po’ trasversale su tutte le patologie che qua noi riscontriamo. Questo accudimento, questo accompagnamento nelle regole a volte in modo un po’ più severo, a volte in maniera più accogliente, è proprio un lavoro di aiuto.



Quando ho iniziato a lavorare qui non conoscevo queste patologie, quindi per me è stata tutta una scoperta che mi ha portato naturalmente ad avvicinarmi a questo mondo che poi ho approfondito e che mi ha appassionato. Il tipo di relazione che si instaura con gli ospiti è molto difficile da definire perché ha delle sfaccettature infinite, sicuramente è una relazione molto profonda. Si conoscono le ragazze in ogni loro ambito, specialmente nel ruolo di OSS; io sono molto contenta di aver fatto questo tipo di esperienza, perché quando facevo solo la chinesiologa avevo una visione un pochino più settoriale, mentre ora ho una visione a tutto campo e questo mi ha aiutato molto a capire più a fondo il loro disagio. Già la mattina quando si svegliano mi rendo conto di che giornata dovranno e dovrò affrontare, nelle relazioni con gli ospiti si crea una sintonia molto forte, si riescono a comprendere proprio le difficoltà e per quello che posso cerco di aiutarle.

Ogni giorno vivo accanto a loro e sento le difficoltà e la loro sofferenza e una parte di tutto questo talvolta me la porto anche a casa, ma loro sono in grado di trasmetterti anche tanta gioia e tanta allegria. Tra alti e bassi riescono a darti moltissimo e spesso riescono a sdrammatizzare loro stesse la loro sofferenza. Sicuramente ti colpisce in pieno la loro difficoltà, la loro disperazione, ma sono persone che hanno anche tantissime risorse che è bellissimo veder emergere, spesso manifestano il loro disagio ma credo che abbiano una marcia in più. Vedi persone che ritornano a vivere e questo è meraviglioso.

Io lavoro in Ginestra, che è la comunità dove ci sono le ragazze più fragili con anoressia nervosa sono molto esigenti dal punto di vista assistenziale e molto difficili da gestire, non hanno proprio il controllo di nulla, né del corpo né della mente. Però se penso a momenti complicati faccio fatica a trovarne, nel senso che ci sono dei giorni in cui ti snervano perché continuano a fare incessanti richieste, la loro fame le porta continuamente a chiedere, chiedere e chiedere ancora. In quei giorni sei sfinita ma non la definirei una difficoltà, perchè a me piace proprio lavorare con loro.

Queste ragazze hanno un fame infinita, una fame di tutto. Hanno una fame fisiologica e una fame emotiva che non sanno gestire e si crea questo blocco che impedisce loro sia di chiedere aiuto che di mangiare: è una fame che ti fagocita se non riesci a riconoscerla. Quando loro bloccano questo istintivo bisogno di mangiare cominciano a “divorare” chi hanno di fronte, è una fame prepotente.

Io sono gratificata ogni giorno quando lavoro, certamente la gratificazione maggiore è vedere le ragazze che comunque ce la fanno, ma la gratificazione è fatta in fondo di tante cose. Per fare un esempio, ho seguito una ragazzina molto giovane e molto compromessa che andava aiutata anche nell’igiene del mattino perché non riusciva a stare ferma neanche una frazione di secondo, dondolava sulle gambe, prendeva un prodotto alla volta per lavarsi per fare più volte avanti e indietro ma non era neppure in grado di chiedere di passarle l’asciugamano.


La prima volta che me lo ha chiesto, quel “ mi passi” mi ha fatto capire che qualcosa stava cambiando, che ce l’avevo fatta, finalmente si era resa conto che c’era qualcuno che poteva aiutarla. E’ un episodio banalissimo ma mi rimarrà sempre nella mente perché da quella piccola frase è cominciata la sua rinascita e ora sta bene. Quindi quel banale “mi passi “ è stato per lei un passaggio importantissimo perché non è andata a prendere ciò che le serviva ma l’ha chiesto e si è instaurato un rapporto di fiducia, si è resa conto che poteva chiedere ed essere aiutata.

Penso che per queste ragazze sia molto difficile fidarsi perché sono spaventate da tutto ciò che loro identificano come minaccia, qualunque cosa e chiunque voglia aiutarle, loro vedono tutto come una minaccia perché pensano che nel momento in cui vengono aiutate e stanno meglio non sono più degne di attenzione: se sto meglio non sono più nessuno, torno ad essere invisibile e nessuno si accorgerà più di me. Nel momento in cui la malattia perde potenza si fa sentire di più il loro vuoto interiore, quello da cui proviene la loro fame. Questo vuoto lo colmano richiedendo continue attenzioni, questo è quello che credo di aver capito. Il fatto di avere bisogno le rende un individuo, nel momento in cui non hanno bisogno spariscono dal mondo perché hanno questo vuoto e pensano che nessuno si accorga di loro. Questa paura l’ho riscontrata in tante di loro e il fatto di faticare a fidarsi deriva da questa paura di scomparire. Esistono molti modi di scomparire: a volte scompari perché hai paura dell’altro, a volte lo fai perché vuoi che qualcuno ti trovi, che ti veda, che si accorga che tu ci sei.

Io non ho mai avuto la percezione che loro utilizzassero il cibo per distruggersi, quanto piuttosto che utilizzassero il cibo per esserci, per essere qualcosa.

Questa comunità mi ha insegnato moltissimo, grazie a questa realtà ho fatto dei grandissimi passi verso l’altro e verso me stessa, ho imparato a comprendere le difficoltà, ho imparato l’ascolto e il rispetto delle differenze. Ho imparato a capire e a rispettare me stessa prima di tutto e sicuramente anche l’altro. Mi ha insegnato a vedere l’altro per quello che è ed è una cosa bellissima .




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Eleonora

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