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Luisa


" Questa realtà mi ha insegnato a non giudicare dall’apparenza, dall’aspetto fisico. Mi ha insegnato a guardare oltre un corpo e a vedere quanto desiderio di affetto ci sia dietro a queste malattie"


 

Sono Luisa, da circa otto anni lavoro come cuoca nella Comunità terapeutica di Villa Miralago.

Preparo i pasti delle ragazze pesando minuziosamente ogni ingrediente, ogni ospite ha un menù differente.

Inizialmente non riuscivo a comprendere le dinamiche di questa malattie e il rapporto che le ragazze avevano col cibo. L’impatto con la malattia è una sensazione forte , poi cerchi di capire e solo col tempo ho imparato a comprendere la loro difficoltà ad affrontare il cibo.

Con la professione che svolgo, che si basa essenzialmente sul cibo, non è stato facile comprendere, la vivevo come una contraddizione perché per me il cibo è vita sotto più punti di vista, è il mio lavoro ed è quell’elemento che ti permette di vivere.

Il lavoro di cuoco in questa realtà è differente rispetto a quello che le persone immaginano; qui devi mettere a tacere la creatività e rimanere coerente con quello che viene stabilito dal nutrizionista, devi fare attenzione ed essere precisa con la quantità di olio che è un elemento che spaventa particolarmente gli ospiti, devi pesare attentamente ogni porzione altrimenti le ragazze vanno in crisi. Ho dovuto dimenticare la creatività e privilegiare la semplicità, anche nella presentazione di un piatto.

Vi sono ragazze che accettano senza particolari problemi il piatto che viene loro proposto e altre che magari in quel momento sono in difficoltà e che rimandano in cucina il piatto di pasta o riso per essere pesato nuovamente, per avere un’ulteriore conferma della quantità e delle calorie che devono mangiare. Vedi il disagio nei loro occhi quando vedono una goccia in più di olio nel piatto.


Io conoscevo queste malattie solo superficialmente, come tutte le persone che sono fuori da questo contesto, avevo letto qualche articolo su riviste o visto qualche servizio in televisione sull’anoressia ma non puoi capire finchè non ci sei dentro, fino a quando non sei a contatto con chi ne soffre. Qui la sofferenza e il disagio li percepisci, li tocchi con mano, io sono molto emotiva e cerco di non farmi coinvolgere troppo nei loro racconti di vita perché mi fanno male.

Noi non abbiamo molte possibilità di interagire con le ragazze perchè il nostro lavoro si svolge tra i fornelli, ci salutano quando arriviamo e quando ce ne andiamo; però l’eco delle loro storie ci arriva, come ci arriva il loro profondo disagio che lascia un segno nelle nostre anime.

Questa realtà mi ha insegnato a non giudicare dall’apparenza, dall’aspetto fisico. Mi ha insegnato a guardare oltre un corpo e a vedere quanto desiderio di affetto ci sia dietro a queste malattie.

Ci tenevo molto a far parte di questo progetto perché credo che sia veramente valido, un mezzo importante per far conoscere all’esterno queste patologie attraverso volti e racconti di vita.





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