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Maria Grazia





"Roberta riposava, io giravo nel parco della struttura. Freddo e solitudine, ma anche un giardino meraviglioso, dove ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo: un pappagallino verde, un cespuglio di bacche rosse, un alberello di mimosa da cui sbocciavano i primi batuffoli gialli. Amo la natura che ogni anno si rinnova, rappresenta per me la speranza, la certezza di una rinascita"


 

Sono Maria Grazia la madre di Roberta, ricoverata a Villa Miralago da luglio 2020.

I problemi di Roberta si sono manifestati un anno prima del suo ricovero: nell’estate 2019 ha iniziato a dimagrire vistosamente, a non sedersi a tavola con noi adducendo svariate scuse, ad andare a correre e tornare a casa stremata, dicendo che non avrebbe mangiato perché l’attività fisica le toglieva l’appetito, a rifiutare tutti gli alimenti di origine animale perché vegana.

Poiché era in cura da una psicoterapeuta le ho chiesto se questa dottoressa non notava il suo aspetto e lei mi ha risposto che, secondo la dottoressa, tutto andava bene. Le ho chiesto ad un certo punto di poter parlare con la psicoterapeuta e lei mi ha negato il consenso.

Le cose sono andate avanti in questo modo fino all’autunno inoltrato, quando Roberta ha avuto un crollo: una crisi di panico, di sera, in stazione a Milano. È stata soccorsa dai militari di guardia, che ci hanno chiamati perché andassimo a prenderla.

Da quel momento io e mio marito abbiamo scoperto tutto quello che era accaduto in quei mesi, ossia che oltre ad aver perso notevolmente peso Roberta aveva le braccia ustionate. Per lenire la sofferenza psicologica si procurava del dolore fisico scottandosi. Abbiamo appreso inoltre che aveva trascorso una notte all’ospedale di Niguarda, dove era stata accompagnata dalla psicoterapeuta perché aveva avuto una forte crisi di panico. Quella notte mi aveva chiamata dicendomi che si sarebbe fermata a Milano a dormire a casa di un compagno di università.

Abbiamo anche saputo che, dopo il suo ricovero all’ospedale di Niguarda, si recava al CPS della nostra zona, dove le era stato prescritto un blando antidepressivo.

Nonostante tutto ciò non siamo riusciti a convincerla a curarsi seriamente. Pretendeva di proseguire il suo percorso di studi musicali e di continuare ad impartire lezioni di musica ai suoi allievi, sebbene ormai non avesse più né forza fisica né psicologica.

Io ho dovuto chiedere un congedo dal lavoro, anche se mi ero presa un grosso impegno nei confronti dei miei dirigenti che, tuttavia, si sono dimostrati molto comprensivi e solidali. Il dirigente scolastico mi ha rassicurata, dicendomi che prima dovevo pensare alla mia famiglia; la responsabile amministrativa, pur sapendo che senza di me avrebbe avuto grossi problemi, mi ha sollecitata a prendere tutto il tempo che sarebbe stato necessario per seguire nostra figlia.

Da quel momento ho affiancato Roberta giorno e notte. L’accompagnavo a Milano e l’aspettavo per ore, girando senza una meta, al freddo e sotto la pioggia; alla sera lei non si voleva mai coricare, preferiva dormire sul divano ed io le restavo seduta accanto, fino alle 2-3 del mattino, quando finalmente riuscivo a convincerla a mettersi a letto. Occupavo le ore notturne cercando in Internet nominativi di specialisti e indirizzi di centri per la cura dei DCA, perché nessuno, neppure il medico di famiglia, sapeva darmi indicazioni.

Fortunatamente alla vigilia di Natale abbiamo avuto un colloquio col responsabile del SPDC dell’ospedale Sacco, che ha programmato un day hospital e, vista la gravità delle condizioni, nel giro di poco tempo, un ricovero.

Nostra figlia è stata seguita in reparto da un medico eccezionale, non solo per le competenze professionali, ma per la sensibilità e le inusuali qualità umane. In famiglia attribuiamo tutti a lui il merito di aver messo Roberta nella condizione di credere nuovamente in qualcosa. Grazie all’impegno di questo medico, inoltre, nostra figlia è stata ricoverata a Villa Miralago.

In questa struttura, altamente professionale, è seguita da un’equipe molto valida. Tutte le figure che ruotano intorno ai pazienti, compreso il personale addetto ai servizi generali, dimostra molta sensibilità e disponibilità nei confronti degli ospiti. Siamo certi che nostra figlia sia in ottime mani e oggi osserviamo in lei un profondo cambiamento e una maggiore consapevolezza. Ha sicuramente bisogno di rafforzarsi ulteriormente, però siamo convinti che abbia fatto notevoli passi avanti.

Per quanto mi concerne, questa è stata una dura prova. Scoprire che riguardo a questi problemi esiste molta disinformazione, anche in ambito medico; brancolare nel buio totale, senza avere punti di riferimento; realizzare che, in una nazione come la nostra e in una delle regioni più ricche del paese, per questioni economiche, si arriva a negare l’assistenza a persone fortemente debilitate, mi ha sconcertata. Inizialmente ci è stato detto che Roberta, pur con una diagnosi di gravità, non poteva accedere celermente a questa struttura convenzionata, ma avrebbe dovuto aspettare diversi mesi, per una questione di costi.

Un’attesa molto lunga e priva di adeguato supporto. Gli incontri col CPS erano sporadici e abbastanza inconsistenti. Io avevo dichiarato che sarei stata a casa accanto a lei, per cui l’assistente sociale non si è mai presentata. Nel corso dell’unica conversazione telefonica che abbiamo avuto mi ha detto a voce alta e con un tono sgarbato che a lei non importavano le esigenze della nostra famiglia, ma solo i fattori economici. Ancora oggi, quando ci ripenso, mi domando come possa una professionista addetta ai servizi alla persona dimostrare una così grave mancanza di sensibilità e di riguardo.

Provo ancora sofferenza quando ripenso alle notti spese a cercare dei professionisti o delle strutture, alle innumerevoli telefonate che ho fatto, ingenuamente convinta che bastasse chiamare uno dei pochi centri presenti sul nostro territorio per ricoverare nostra figlia.

Ricordo le corse fatte durante il ricovero: al mattino prestissimo in ufficio per star dietro ad una mole di lavoro che, nel frattempo, si era accumulata; poi all’ospedale, dall’altra parte di Milano. Roberta si rifiutava di dirmi come procedeva la sua degenza e non ci consentiva di parlare col medico. Quando finalmente abbiamo ottenuto il suo consenso ho conosciuto questo dottore e mi sono tranquillizzata: sono molto istintiva, quando incontro per la prima volta una persona sento subito se con lei ci sarà empatia e, in questa circostanza, ce n’è stata molta.

Ripenso alle domeniche trascorse dalla mattina alla sera in ospedale; nel primo pomeriggio, mentre Roberta riposava, io giravo nel parco della struttura. Freddo e solitudine, ma anche un giardino meraviglioso, dove ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo: un pappagallino verde, un cespuglio di bacche rosse, un alberello di mimosa da cui sbocciavano i primi batuffoli gialli. Amo la natura che ogni anno si rinnova, rappresenta per me la speranza, la certezza di una rinascita.

Dopo che Roberta è entrata a Miralago tutta la tensione, lo stress accumulato, sono esplosi ed io mi sono improvvisamente afflosciata. L’ aver trascorso ore ed ore in giro per Milano per accompagnare mia figlia, da un ospedale all’altro per le sue cure, i ripetuti colloqui e le discussioni, gli impegni di lavoro, mi avevano prosciugata.

È stato il momento della riflessione, mi sono lambiccata il cervello per capire quali e quanti errori avevo commesso, perché ovviamente ci si colpevolizza. Ho ipotizzato che, se in certe circostanze del passato avessi agito diversamente, forse non sarebbe accaduto tutto ciò.

Mi chiedo come mai l’inesauribile forza che ci sostiene nei momenti difficili si dissolva improvvisamente quando raggiungiamo una relativa tranquillità. Non sono mai riuscita a parlare delle mie difficoltà, dei miei dubbi e della mia sofferenza, anche quando faccio terapia non riesco ad esprimere veramente quello che sento.


Ho affidato all’Haiku certe sensazioni. So che a qualcuno sembrerà strano ma, come dice uno scrittore giapponese, sintetizzare in poche righe, che tra l’altro io raffiguro anche, il dolore, la paura, l’insicurezza, aiuta ad elaborare meglio questi sentimenti; i vincoli che pone l’Haiku dal punto di vista della forma riducono l’intensità dell’emozione, che diventa più accettabile.

Quanto accaduto ha dato avvio ad un cambiamento, non mi sento più la persona che sono stata fino al 2019. Annullare la mia identità e i miei bisogni per soccorrere mia figlia mi ha fatto paradossalmente comprendere che per anni ho anteposto il ruolo di moglie e madre a tutto il resto. La mia esistenza era finalizzata solo allo svolgimento dei compiti connessi a questo ruolo.

Adesso capisco che, pur privilegiando gli affetti, dobbiamo pensare anche a noi stessi come individui indipendenti, dobbiamo ascoltarci e volerci bene. Non è semplice, l’educazione ricevuta, il contesto sociale in cui siamo immersi e le difficoltà che si incontrano nella ricerca della propria identità possono scoraggiarci: è molto più facile lasciarsi trasportare dalla corrente. Può anche essere una scelta saggia, anziché dibattersi per sopravvivere e aggrapparsi ad un appiglio, lasciarsi trascinare può consentire il raggiungimento passivo di un punto perfetto da dove ricominciare, se non si affoga. L’importante è esserne consapevoli. Ritengo che l’acquisizione della nostra consapevolezza possa essere un aiuto per i nostri figli.

Sicuramente molti giudicano le persone che soffrono di malattie psichiche degli esseri inferiori, spesso si tratta solo di persone più sensibili delle altre, che hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo che le circonda. A questo mondo però c’è posto per tutti. Ho cercato di insegnare ai miei figli a non sentirsi inferiori rispetto a persone che hanno più successo, capacità, savoir-faire; a volte si tratta solo di apparenze e, quand’anche non fosse così, scherzosamente dico loro che anche noi poveri comuni mortali siamo importanti, in particolare per questi supereroi, perché la nostra semplicità consente loro di emergere. Ma, a parte le battute scherzose, ritengo veramente che anche la persona più semplice ed umile del mondo abbia qualcosa di buono e apprezzabile da donare.

Per mia fortuna non ho avuto a che fare con persone che hanno espresso giudizi negativi riguardo al disturbo di Roberta, né nei nostri confronti; anzi, mia sorella e diversi amici sono stati sempre molto solleciti e rassicuranti. L’essere entrata nell’associazione “ilfilolilla”, inoltre, mi ha permesso di beneficiare di un utilissimo confronto con altre persone che vivono la mia stessa esperienza.

A Roberta, che è sempre timorosa, dubbiosa ed incerta, vorrei dire di imparare a volersi bene, ha uno splendido carattere che la rende disponibile, tollerante e generosa; qualità che sono ormai rare.

È intelligente e capace, sebbene lei si sottovaluti; chi la conosce bene ha mostrato e mostra molta stima e ammirazione per lei. Si sta impegnando con coraggio e determinazione a superare un momento molto difficile e ad attraversare certi cambiamenti che la riguardano, tutt’altro che semplici da attuare.

Coraggio mia piccola grande leoncina, non ti arrendere, tifiamo tutti per te.






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