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Martina


Più dimagrivo e più assumevo Tavor, mentre perdevo peso volevo anestetizzare tutti i miei pensieri: iniziavo e terminavo le giornate con una pastiglia.


 

Mi chiamo Martina e ho 25 anni, sono sempre stata una bambina diversa dalle altre perché fin da quando avevo 3 anni ho avuto problemi di salute ed ero spesso in ospedale. Anche i problemi col peso sono iniziati a quell’età.

In vacanza, invece di stare al mini club io andavo dal cuoco perché mi piaceva mangiare; alla materna ero grassottella, non così tanto come alle elementari e alle medie.

Non ho dato peso a questa cosa fino ai sei anni, quando ho iniziato la scuola e ho cominciato a capire che non ero come gli altri ragazzini. Sentivo questa differenza a causa dei miei problemi di apprendimento, che mi costringevano a recarmi presso un centro specializzato, saltando spesso le lezioni. Questa situazione mi spingeva a mangiare: mangiavo, mangiavo e mangiavo.

Nessuno però mi faceva pesare questa diversità, ero io che mi sentivo così. Facevo di tutto pur di accontentare gli altri, per sentirmi accettata, cercavo di esaudire qualunque tipo di richiesta. Avevo creato un gruppo molto bello, veramente coeso, ci sentiamo ancora.

Poi alle medie ho cambiato scuola. Mia madre, a causa del disturbo dell’apprendimento aveva optato per una scuola privata, gestita da suore, dove avrei avuto maggior attenzione. In classe eravamo inizialmente in dieci e successivamente in otto. Ho faticato ad inserirmi, perché le altre compagne si conoscevano già dalle elementari; i miei evidenti problemi di sovrappeso non hanno certo facilitato le cose, sono stata giudicata al primo impatto. Mi isolavano, ricordo che durante una lezione di arte ero sola in un banco perché le mie compagne si erano messe tutte dalla parte opposta. Ho percepito la cosa come bullismo psicologico, la mia autostima è diminuita ulteriormente. In terza media le cose sono migliorate, forse perché hanno imparato a conoscermi e in quel momento mi sono sentita accettata nel gruppo.

Alle superiori ho scelto una scuola professionale e lì sono cominciati i problemi con il cibo, l’autolesionismo e la depressione. Avevo attacchi panico ogni volta che entravo a scuola. La presenza di un bar nell’edificio non mi ha certo aiutata, perché al mattino per placare l’ansia mangiavo due brioche al cioccolato, alle due del pomeriggio due tavolette di cioccolato e quando tornavo a casa verso le 14.30 consumavo normalmente il mio pranzo. E questo si ripeteva ogni giorno.

Mia madre gestiva un posto deve si tenevano feste di compleanno e quando non andavo a scuola, mi recavo lì, bevevo cioccolata calda e mangiavo Nutella. Poi passavo al supermercato, mi compravo una confezione di brioche e le mangiavo tutte, nel frattempo camminavo e camminavo.

E’ stato così durante tutto il periodo delle superiori, capivo che dentro di me qualcosa non funzionava, ma non mi rendevo conto fosse questo il problema.

Sono stata ricoverata una prima volta al San Gerardo di Monza in psichiatria dove hanno capito che il mio problema non era fisico bensì psicologico. Infatti io mi sentivo bene solo lì dentro e fuori no; è brutto pensare che si possa star bene in un reparto di psichiatria, dove mi hanno prospettato un intervento di chirurgia bariatrica.

In quel periodo, per attirare l’attenzione dei miei genitori e far comprendere meglio il mio malessere, ho cominciato con l’autolesionismo.


Ho smesso nel periodo antecedente l’intervento chirurgico di posizionamento del palloncino gastrico, perché ero seguita costantemente da un’équipe di psicologi che avevano il compito di farmi accettare il futuro cambiamento del mio corpo.

Tutti erano convinti che questa fosse la soluzione ai miei problemi, io avevo accettato di farmi operare sotto la pressione dei dottori, degli psicologi e dei miei genitori.

Effettivamente dopo l’intervento ho perso circa 60 chili, ero contenta di essere tornata al mio peso forma. Uscivo, stavo in mezzo alla gente, ero tranquilla e non mi abbuffavo più. Sono però tornati i problemi con l’autolesionismo in forma grave, ma io non sentivo dolore, ero come anestetizzata. Mi tagliavo in modo automatico, col taglierino, non sentivo niente. Si vedevano i segni, anche oggi sono rimaste le cicatrici.

Ero dimagrita ma non ero felice, capivo che qualcosa non andava. Subito dopo l’operazione ho iniziato a restringere: mi portavano da mangiare, io svuotavo il piatto, ma sputavo il cibo nel tovagliolo. La cosa è durata sei mesi, fino a quando si sono accorti dalle analisi di questa cosa e mi hanno imposto di mangiare.

Successivamente ho cominciato a mangiare di più per tamponare il fastidio che il palloncino mi procurava muovendosi. A livello emotivo non percepivo alcun dolore. Dopo sei mesi mi hanno tolto il palloncino, ed io in tre mesi ho recuperato diciassette chili.

Avevo un rapporto simbiotico con mia madre, eravamo una cosa sola. La vedevo come un dio, lei non sbagliava mai, non poteva sbagliare perché per me non era umana, era un angelo sceso dal cielo. Con mio padre invece non avevo un gran rapporto perché lavorava coi suoi parenti tutto il giorno, arrivava alle nove di sera, molto arrabbiato e si sfogava su di noi. Iniziava ad urlare, non lo faceva per cattiveria, per lui era normale sfogare sugli altri il suo nervosismo, non comprendeva che fosse una cosa sbagliata. Il suo capro espiatorio ero io: mi incolpava di tutto quello che accadeva. Eravamo in quattro in famiglia ma ero sempre io la colpevole, mai mio fratello. Questa cosa me la porto ancora addosso.

Il rapporto con gli altri quando ero magra andava bene, uscivo e mi divertivo. Ero molto simpatica, viaggiavo col treno, riuscivo a fare tutto quello che fa una persona felice. Ho avuto anche le prime cotte e i primi amori.

Prima, quando ero grassa uscivo ma piangevo sempre perché non potevo comprare certi vestiti, mi vergognavo ad entrare nei negozi con le mie amiche. Pertanto uscire non era una gran gioia e mi sono sentita comunque tremendamente sola perché le mie amiche non capivano. Mi dicevano: “perché piangi sempre? Perché devi sempre essere triste? E che palle, sei sempre triste e ti lamenti”. Io non sapevo cosa rispondere. Non volevo neppure passare in mezzo ai ragazzi, andavo in giro con la testa bassa per non essere vista, mi nascondevo.

A casa odiavo quel grande specchio appeso nel bagno, così grande da permettermi di vedere tutta la mia figura, lo volevo buttare. Spiegami perché si devono mettere gli specchi nei bagni! Qui con l’aiuto di Cristina mi sto rendendo conto che lo specchio a volte non è così nemico. Un giorno mi ha chiesto “la vuoi aprire la famosa porta di Villa Miralago?” Io senza pensarci molto ho risposto di sì.

Ho visto un’immagine totalmente diversa da quella che mi aspettavo. Ero ferma a quando pesavo 147 chili, invece lo specchio rifletteva altro, mi mostrava che ero dimagrita. Ho smesso di vedere lo specchio come un nemico, non rifletteva più i miei difetti ma mi valorizzava; ed ho imparato anche a guardare oltre lo specchio.

Ho avuto problemi anche coi farmaci, durante il periodo più critico assumevo psicofarmaci, tra cui il Tavor al bisogno, ed io ne avevo sempre più bisogno, era diventato una droga. Ho persino rubato dei soldi e mentito.


Più dimagrivo e più assumevo Tavor, mentre perdevo peso volevo anestetizzare tutti i miei pensieri: iniziavo e terminavo le giornate con una pastiglia.


Gli altri mi vedevano un po’ diversa perché io ridevo ma avevo sempre gli occhi fissi, spalancati, ero flippata. Tutto questo è durato quattro anni durante i quali non percepivo le mie emozioni e non avevo sogni.

Sentivo dentro di me un gran vuoto, un estremo bisogno d’amore, quello che mio padre non mi dava; così l’ho cercato in tutti i ragazzi che ho frequentato in quel periodo. Mi sono anche cacciata in situazioni molto pericolose. Non ero lucida per via dei farmaci, non ragionavo: “ma sì conosciamo i ragazzi su internet, il primo che capita”, finché ho incontrato un ragazzo che mi ha molestata, ero spaventatissima ho chiuso con i social, col telefono e per sei mesi non sono uscita di casa. Non ne ho parlato con nessuno, solo dopo un anno e mezzo sono riuscita a dirlo ai miei genitori.

Durante una vacanza, dopo aver esagerato col Tavor, sono rimasta senza pastiglie e senza ricetta; sospendendolo di colpo ho avuto una sorta di crisi di astinenza. Da lì ho iniziato a casa, perché mia madre non voleva portarmi in ospedale o in altri centri, il terribile calvario della disintossicazione; non riuscivo più ad uscire, avevo continui attacchi di panico, ho tentato di buttarmi dal balcone ed ho sentito tutti i pensieri arrivare di colpo nella mia testa.

Dopo sei mesi durante un colloquio con la neurologa le ho raccontato che avevo ricominciato a mangiare tantissimo e poi vomitavo. A quel tempo io non sapevo neppure cos’era il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, se non fosse stato per il vomito non avrei mai pensato ad un disturbo alimentare. Sapevo solo di essere obesa e avrei continuato a mangiare fino a scoppiare. Ho avuto due ricoveri e fatto un anno e mezzo di day hospital.

Per affrontare questo percorso ci vuole tantissima forza ma soprattutto coraggio. Credo di aver trovato questa forza altrimenti ora non sarei qui. L’impatto è stato brutto, dopo due anni chiusa in casa, trovarmi con settanta persone mi ha creato ansia, non riuscivo a stare con loro, piangevo quando festeggiavano compleanni o dimissioni, ma sono stata aiutata.

Ho iniziato ad avere anche l’ossessione per il pulito, mi facevo la doccia tre volte al giorno, mi lavavo le mani continuamente e non volevo toccare niente. Su questa cosa sto lavorando molto e son già migliorata tanto.

Adesso sto imparando ad amarmi di più e sto ritrovando i miei sogni, mi piacerebbe tanto riprendere l’Università.



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