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Martina Canclini


" Ho trovato il mio ruolo qui, mi sento soddisfatta del lavoro che svolgo e spero di poter essere un esempio per i ragazzi, perché è sempre l’esempio la prima forma di educazione. Dall’esempio però si passa all’interiorizzazione della regola, fare capire al piccolo perché è “sì”o perché è “no”, far comprende il significato del diniego, spiegandolo, rispiegandolo e attendendo "


 

Sono Martina Canclini, un’educatrice professionale. Lavoro a Villa Miralago da dicembre 2018, sono ormai tre anni che lavoro qui. È la mia prima esperienza lavorativa post-laurea, in precedenza ho lavorato sempre in psichiatria, svolgendo servizi domiciliari. Ho una laurea in educazione professionale conseguita all’Università Insubria di Varese; è un ramo della facoltà di Medicina e Chirurgia e ti prepara ad essere educatore sanitario, cioè un professionista che progetta e pianifica progetti individuali per i soggetti in condizione di disagio, lavorando in équipe multidisciplinare. In questo percorso di studi ho appreso poco sui DCA, giusto un accenno per un esame di Pedagogia Speciale. Mi sono quindi trovata in un mondo nuovo e a me quasi sconosciuto. Dopo il colloquio con la dottoressa Cicala ho comprato un libro sui DCA, da leggere e studiare, prima di iniziare a lavorare qui, perché conoscevo pochissimo sui disturbi alimentari e non sapevo cosa aspettarmi. Speravo di apprendere tutto ciò che potevo ma niente poteva bastare come l’esperienza sul campo che poi mi sono trovata a vivere.

Fin da subito ho sostituito Cristina, che era diventata la coordinatrice degli educatori, ed è stato impegnativo per diversi motivi. Prima di tutto perché ho da sempre stimato molto Cristina e temevo di non esserne all’altezza, in secondo luogo perché ero stata assegnata alla comunità “minori”, la comunità Primavera. Durante l’università l’ambito dei minori è quello che sicuramente mi stimolava, ma anche preoccupava maggiormente.

L’educatore per i minori in generale si occupa dell’accudimento di tipo materiale e di tutto l’aspetto relazionale che ruota intorno al giovane: le relazioni con gli altri, coetanei, adulti, genitori etc. Si occupa di mantenere i contatti con la famiglia, la scuola e le istituzioni. A Villa Miralago, oltre all’accudimento materiale, organizza dei gruppi educativi, riabilitativi, ricreativi, ludici. Si occupa dei colloqui educativi individuali, al cui interno si genera la relazione e si progettano obiettivi da raggiungere. Gli obiettivi partono spesso, in ambito minori, dalla crescita delle autonomie di base, in concreto spesso ci si occupa di tutta la sfera dell’igiene personale e nel trovare un equilibrio di vita sano e appagante. Nel tempo poi si cerca di far crescere ed evolvere gli obiettivi, puntando più in alto: la scuola, il rientro sociale, il mantenimento delle relazioni esterne. Con i minori si sta insieme, trascorriamo tempo a ridere, dire sciocchezze, truccarci, creare lavoretti. Insomma... condividere il tempo e la vita.

Entrando in questo mondo, essendo un educatore appena assunto, avevo molto timore, non sapevo bene cosa dire, perché anche semplici frasi che fuori fanno parte della normalità a Villa Miralago sono tabù. Anche un “ti trovo bene”, sono frasi alle quali non si sa quale sarà la reazione. Così, inizialmente, non sapevo bene cosa dire, soprattutto nei colloqui individuali. In questo ambiente l’uso della parola è difficilissimo per tutti, una mia grande difficoltà all’inizio era proprio la preoccupazione di quanto potessero incidere le mie parole sulla persona. Solo con il tempo, e l’esperienza, ho imparato che non ci sono parole o frasi giuste e sbagliate. C’è la relazione, l’empatia, l’autenticità e la spontaneità. A volte non mi serve altro.


Dall’altra parte, credo sia importantissimo e difficile, insegnare al paziente che esiste la parola e non solo il corpo: imparare a parlare per esprimere le difficoltà per loro non è facile, così esprimono il dolore attraverso il corpo. Ad esempio, anche l’autolesionismo è un’altra forma di espressione che sostituisce la parola. Noi a volte sottovalutiamo i pazienti, loro sono molto forti e tenaci, ci aspettiamo che verbalizzino subito, invece occorre aspettare che arrivi il tempo anche per quello, e quando arriva inizia davvero il percorso di cura.

In generale sono rimasta molto colpita dal lavoro di Villa Miralago, credo che siamo una comunità che offre tante opportunità ai pazienti, stimoli diversi, tante professionalità diverse, tanta cura in diversi ambiti. Mi sono lasciata molto coinvolgere quando ho iniziato a lavorare qua: Villa Miralago si trasforma in casa per i pazienti, ma anche per gli operatori.

Si fa tanta fatica e ci vuole tempo per ottenere la fiducia di questi giovani pazienti, perché i piccoli arrivano spesso da famiglie fragili, da legami difficili da gestire. I giovani hanno una mamma e un papà a casa di cui in quell’età si ha tanto bisogno, a livello fisico oltre che relazionale e morale. L’educatore è quella figura che, in qualche modo, li sostituisce. Spesso è difficile essere un educatore, è quella figura professionale che non dice tanti “si”, ma anche tanti “no”, motivati, spiegati e vissuti. Proprio per questo, come già detto, penso che una relazione educativa debba essere spontanea, penso che la spontaneità sia essenziale per fare in modo che l’altra persona si fidi di te.

Questi ragazzi e ragazze hanno poca fiducia in loro stessi, nella vita, nella speranza e nella felicità. Non vedono le cose positive e belle che ci sono da vivere e anche quello che potranno fare nella loro vita, anche se sono così giovani e hanno il mondo davanti. Loro vedono un muro e non riescono a cogliere quello che c’è dietro, non vedono le piccole cose della quotidianità che magari per noi sono piacevoli, come andare a casa a leggere il tuo libro preferito, stare con un’amica e poter ridere. I ragazzi fanno veramente fatica a pensare che esista una felicità, perché non percepiscono un futuro, ma solo tanta confusione. Si rifugiano quindi nell’angoscia, nella tristezza che provano realmente, ma che in qualche modo protegge anche da tutto il resto. Villa Miralago, a mio parere, genera la possibilità di fermarsi, di fermare tutto ciò che per loro va avanti senza una meta, e di poter iniziare a pensare al passato, al presente, e al futuro.


Non so se le cause scatenanti del disturbo siano differenti nei piccoli rispetto ai grandi, nel caso dei DCA credo che le cause possano essere innumerevoli. Credo in generale che chi ha un disturbo alimentare utilizzi il cibo perché è la cosa più semplice o comunque più a portata di mano che hanno. Sullo “scopo” mi sono sempre un po’ interrogata. Molto spesso mi sento dire dalle mie ragazze “mi sono ammalata perché voglio scomparire”, dall’altra parte però un corpo magro o obeso lascia tutti un po’ sconvolti, non ti fa scomparire, anzi, attira lo sguardo, l’attenzione e la cura dell’altro. Credo che per i minori sia importante “farsi vedere”, “esprimersi”, “essere unico”. Nel momento dell’adolescenza cerchi un’identità tua, una tua personalità con cui ti fai strada nel mondo, inizi a cercare di capire chi sei e di farlo capire agli altri. A quell’età sentirsi amati e farsi spazio nel mondo sociale è essenziale Il corpo di chi ha un DCA ricerca l’amore, lo sguardo della mamma piuttosto che quello dei coetanei.

Le difficoltà della famiglia sono tantissime, è importante lavorare anche con la loro. Se non c’è un’alleanza con loro, soprattutto nel campo dei minori, si infrange ciò che si fa. L’educatore dei minori sente spesso la famiglia, anche semplicemente per organizzare un rientro a casa, ci si interessa anche di come stanno i genitori nella gestione del contatto telefonico o fisico con i propri figli. La famiglia del minore è seguita idealmente dal servizio inviante o privatamente, ma in realtà è una questione molto complessa (il servizio inviante potrebbe non avere le risorse, l’intenzione della famiglia di intraprendere un percorso psicologico etc). L’équipe di psicologi della comunità Primavera è costituita da due psicologi, che attualmente si occupano sia dei pazienti che dei famigliari. Questa è una nuova procedura, totalmente in via di definizione, che però genera, a mio parere, diversi cambiamenti. Io percepisco moltissimo il lavoro che fanno queste famiglie insieme ai nostri psicologi. Io stessa, pur non partecipando a quelle sedute sento che è un lavoro che genera benefici, utile alla famiglia e al minore che sente integrata anche la sfera relazionale esterna. Villa Miralago è un progetto terapeutico per tutte le figure coinvolte.

Ho scritto la mia tesi di laurea sugli adolescenti, più precisamente lo scopo del progetto di tesi era di ricercare, a livello qualitativo, quanto la differenza d’età influisca sulla relazione educativa tra educatore ed adolescente. Questo perché il fatto di essere io stessa così giovane mi ha sempre fatto pensare alle difficoltà che potessi avere rapportandomi con un’utenza cosi affine alla mia età. Quando ho iniziato a lavorare a Villa Miralago avevo 23 anni ed ero poco distante dai pazienti, avevo vissuto cinque anni prima l’adolescenza e questo mi preoccupava. Poi lentamente ho capito che il sentire la propria adolescenza così vicina non è un ostacolo, ma una risorsa. Ho trovato il mio ruolo qui, mi sento soddisfatta del lavoro che svolgo e spero di poter essere un esempio per i ragazzi, perché è sempre l’esempio la prima forma di educazione. Dall’esempio però si passa all’interiorizzazione della regola, fare capire al piccolo perché è “sì”o perché è “no”, far comprende il significato del diniego, spiegandolo, rispiegandolo e attendendo.

Ci sono certe relazioni con alcuni pazienti che smuovono alcune questioni personali. Credo sia importante per chi lavora in questo campo avere una supervisione anche dal di fuori, riuscire a parlare con qualcuno fuori da Villa Miralago per provare a capire cosa ti si muove dentro e per condividere, in un proprio spazio, le frustrazioni emotive. Ci sono pazienti che smuovono cose diverse: pazienti che mi fanno sentire più preoccupata di altri, che mi fanno andare a casa con pensieri e domande, pazienti che mi fanno riflettere non solo sul lavoro, ma sulla vita. Non sempre è così facile chiudere il cancello ed evitare che le situazioni e le persone vengano a casa con te. È difficile non portare via nulla. Con l’esperienza si impara: occorre interiorizzare che Villa Miralago è il nostro lavoro e che è necessario vivere la nostra vita fuori, anche per svolgere al meglio il proprio lavoro dentro.


Ovviamente, un ritorno personale emotivo c’è. Ci sono momenti e attimi che danno grandi soddisfazioni. Sicuramente quelli delle dimissioni, che ti fanno pensare che ce l’ha fatta. È una gioia poter vedere andare via un paziente, con il sorriso, con uno zainetto pieno di strumenti e con una vita davanti. Inoltre, mi soddisfa molto andare a casa con la sensazione di aver lavorato bene con la mia équipe. In comunità si incontrano tanti imprevisti e problemi quotidiani, ma è bello sentire la vicinanza dell’équipe, sentire che si è trovata una buona soluzione, sentire la sintonia con i miei colleghi. In questo momento percepisco molto tutto ciò e ne sono molto soddisfatta, perché anche quando le cose non vanno proprio al meglio il fatto di sapere che non si è soli ti fa sentire appagata e sicura. La squadra è tutto in questo lavoro.

Dal punto di vista professionale a Villa Miralago ho imparato moltissimo: io ho poca esperienza ma credo che Villa Miralago prepari un educatore per qualsiasi situazione lavorativa. A livello emotivo sento anche più sicurezza in me stessa. Fare l’educatore è un lavoro dove non ci sono degli schemi di lavoro certi, certo si può leggere, imparare e fare esperienza ma poi ogni giorno è diverso. Oggi mi sento molto più sicura di me come educatore.

Non è comunque semplice identificare bene quanto questo lavoro mi abbia dato sul piano emotivo. Si incontrano tante persone e tante emozioni che si susseguono: rabbia, gioia, soddisfazione, tristezza, frustrazione. Mi sento però gratificata moltissimo dal tempo trascorso insieme, la gioia, le risate... gli abbracci. Paradossalmente da quanto detto prima, ciò che non riguarda la parola.

Tante volte siamo noi i primi ad aver paura di cambiare il nostro modo di vivere, e a volte partendo magari da cose banali mi sono ritrovata a dire che il cambiamento è possibile, che si può stare meglio, si può trovare una soluzione. Occorre provare a cambiare, intraprendere strade diverse. A volte tornando a casa, dico a me stessa che spesso suggerisco questo ma poi sono io la prima a fare tanta fatica. Penso che si debba avere più coraggio: questi ragazzi necessitano di tanto coraggio, noi suggeriamo loro questo atteggiamento e poi siamo i primi che, a volte, faticano a trovarlo. Loro spesso dimostrano tanta audacia e tanta forza e quando accade mi sento molto orgogliosa di loro.





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