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Noemi


"...Quando cominci a restringere provi una sensazione di potere e di controllo su tutto. Nel mio caso si tratta anche di non accettazione dei bisogni fisici che si trasferisce anche sui bisogni emotivi. Riuscire a continuare a vivere introducendo meno di quello che il corpo in realtà necessita è una riprova costante di poter sfidare la natura stessa e questo ti fa sentire addirittura onnipotente..."


 

Sono Noemi ho 26 anni e sono nel mio secondo periodo di malattia. Nel 2015 ho avuto una prima fase di anoressia nervosa da cui ero riuscita ad uscire almeno in parte, recuperando peso e risolvendo alcuni dei fattori che mi hanno portata ad ammalarmi; ma da un anno a questa parte ho avuto una ricaduta nel disturbo, le cui cause non mi sono ancora ben chiare.

A settembre ho iniziato un nuovo percorso terapeutico presso il Centro Ananke di Milano dove sono seguita da uno psicoterapeuta, da una nutrizionista e una psichiatra. Ho avuto due anni di pausa da quelli che erano i sintomi più eclatanti della malattia, sono rimasta normopeso e anche il mio rapporto col cibo era migliorato rispetto al periodo della malattia, anche se emotivamente sono stati due anni piuttosto pesanti. Non so se si possa parlare di depressione vera e propria, però c’erano momenti particolarmente difficili e bui che si alternavano a momenti di tranquillità ma non di felicità.

Il primo periodo della malattia è frutto di una dieta andata drammaticamente male, io cercavo di essere piacevole, bella, volevo piacere agli altri. Ero in una condizione di sovrappeso non esagerato, ma ero convinta che quella fosse una delle cause principali per cui non avevo mai avuto, fino a quel momento, esperienze amorose. Penso che inizialmente il mio malessere sia nato come desiderio di piacere sessualmente, di essere desiderata, per poi sfociare in una ricerca di piacere agli altri come persona nella mia totalità. E’ come se solo in questi momenti di malattia, solo come persona malata, io possa piacere agli altri, solo in questa condizione io possa essere una persona meritevole di affetto e attenzione.

Quando cominci a restringere provi una sensazione di potere e di controllo su tutto. Nel mio caso si tratta anche di non accettazione dei bisogni fisici che si trasferisce anche sui bisogni emotivi. Riuscire a continuare a vivere introducendo meno di quello che il corpo in realtà necessita è una riprova costante di poter sfidare la natura stessa e questo ti fa sentire addirittura onnipotente. Spesso trasferisci il controllo che acquisisci con la malattia su quello che senti di non avere sulla tua vita: quando vedi che la tua vita non sta andando come te la sei sempre immaginata, allora devi trovare qualcosa per farla andare come desideri. Sovente il restringere è piacevole e questo piacere lo colleghi al raggiungimento di un obiettivo, alla felicità e allora continui a restringere sempre di più.



E’ difficile rispondere alla domanda dove si trova Noemi in tutto questo marasma. Per la maggior parte del tempo il mio pensiero è che Noemi sia in realtà questa e non quella che sono stata nel periodo di benessere. Probabilmente Noemi è nascosta da qualche parte, in questo momento è come se questa fosse la Noemi reale e solo ora io stessi vivendo ed esprimendo la mia vera identità. Credo sia questa la cosa più difficile all’interno di un percorso di guarigione, riuscire a ritrovarsi, a convincersi nuovamente del fatto che tu non sei il tuo disturbo ma è il disturbo stesso a convincerti di essere parte integrante di esso.

A volte credo che la perfezione esista, perché se non esistesse non saprei a cosa aspirare. Sicuramente il perfezionismo è una cosa che mi caratterizza, fa parte della mia natura nel bene e nel male ed è qualcosa a cui tendo anche con il mio disturbo. L’ammalata perfetta, la paziente perfetta, la figlia perfetta, la studentessa perfetta.

Mi è piaciuta molto una metafora che ha usato il mio psicoterapeuta: “la vita è un oceano nel quale è stato versato del petrolio, dove il petrolio sta a significare il disturbo. E’ difficile ripulire l’oceano dal petrolio quando accadono questi disastri. E’ un lavoro difficile proprio perché le molecole vanno ad attaccarsi, a mischiarsi e tu pian piano devi riuscire a dividerle, devi riuscire a setacciare l’oceano”. Devi riuscire ad amare te stessa, devi riuscire nuovamente a prenderti per mano.

Credo che dove ci sia amore, affetto e speranza ci sia bellezza, quest’ultima è un insieme di questi tre elementi. E’ qualcosa che risiede nel profondo.


Il Tempo è lo scorrere della vita e per me è molto importante. In questo momento, in questa situazione, è molto forte la sensazione di star perdendo tempo importante per vivere. Sono certa che la serratura di questa porta che si apre alla vita possa essere aperta solo dall’interno, nessuno può fare il percorso per te, nessuno può curarti, solo tu puoi trovare la chiave e Noemi la sta cercando a tentoni, qualche volta sente la vicinanza di questa chiave e qualche volta la vede ma non la vuole prendere, altre volte la vede ma non ci arriva e a volte non la vede proprio.

La maschera è solo una facciata, è quella cosa che indossi per non mostrarti e nella malattia ne fai un uso costante, può essere anche la menzogna perché questo disturbo ti insegna a mentire. La maschera ti serve anche per nascondere i momenti bui e per esaltare quelli più sereni, la usi per portare all’estremo quel minimo di felicità e allo stesso tempo per cercare di nascondere il più possibile quanto stai male. La maschera è la malattia, è quella che ti fa sembrare diversa da quello che sei per piacere agli altri. Penso che sia arrivato il momento di toglierla, di buttarla via o almeno di provarci.

Questa malattia addormenta le emozioni positive e amplifica quelle negative e spesso provi piacere a navigare in questa negatività amplificata, addirittura la aneli e allo stesso modo ricerchi la restrizione. Trasforma i rapporti con le persone che ami colorandoli di malinconia. A mio fratello vorrei dire che mi dispiace molto averlo fatto soffrire, perché è una persona che non lo merita assolutamente. Lui non è il tipo che mostra apertamente i suoi sentimenti, ma so che soffre molto per questa mia condizione. Vorrei anche ringraziarlo per la sua “vicinanza lontana”, discreta. Il nostro non è un rapporto “pappa e ciccia”, ma la nostra vicinanza è mentale, è come un abbraccio emotivo che ti accoglie, sai che lui è lì. Mia mamma ha una grande forza che protegge la sua fragilità e comprendo quanto sia difficile per lei accettare la mia malattia, ma le mamme combattono sempre accanto ai loro figli. A lei avrei voluto risparmiare tutta questa sofferenza, vorrei dirle che mi dispiace e allo stesso tempo vorrei ringraziarla per avermi sempre sostenuto.

Io non temo la morte per me stessa, ciò che me la fa temere è la reazione che potrebbero avere gli altri più che la morte in sé.





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