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Ornella


" Questa malattia mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose che prima davo per scontate. E anche il rapporto con nostra figlia, dopo anni di lotte e di rabbia, lo stiamo recuperando in maniera serena. Ho capito tante cose di Giulia che forse prima non riuscivo a comprendere, anzi addirittura certi suoi atteggiamenti mi facevano arrabbiare. Forse non l’avevo capita a fondo"


 

Sono Ornella la mamma di Giulia. Mia figlia ha 24 anni e soffre di disturbi del comportamento alimentare da otto anni. I primi anni potrei definirli come un’alta e bassa marea, sia per lei che per la nostra famiglia, poi è arrivato lo tsunami. A 13-14 anni le era stata diagnosticata la celiachia e credo che questo sia stato il punto di partenza del disturbo alimentare, perché era l’età dell’adolescenza, l’età in cui i ragazzi escono a mangiare la pizza che lei adorava e improvvisamente ha dovuto abbandonare tutto. Sembrava che l’avesse presa anche bene, nonostante un anno di dieta piuttosto rigida.

Inizialmente noi conoscevamo i DCA solo superficialmente e la sua malattia è iniziata in maniera silente. Già a 15 anni Giulia era seguita da una psicologa e noi eravamo tranquilli, poi ha manifestato il desiderio di voler dimagrire perché le sue compagne erano più magre di lei e ha cominciato a saltare i pasti. Io le avevo proposto di praticare uno sport di gruppo che l’avrebbe aiutata sotto tutti i punti di vista, sia quello fisico ed anche relazionale, perché Giulia è sempre stata introversa. Lei aveva fatto pallavolo alle scuole medie ma poi l’aveva lasciata perché si sentiva inadeguata, non all’altezza delle compagne.

Quando ha iniziato a dimagrire in modo vistoso (nel giro di tre/quattro mesi aveva perso 10 chili), la psicologa ha pensato di farsi affiancare da una nutrizionista e da uno psichiatra e siamo andati avanti in questo percorso per un paio d’anni. Non voglio esprimere giudizi, ma penso che questo psichiatra non fosse specializzato in DCA,si basava essenzialmente sulla terapia farmacologica più che quella psicologica.

Durante l’anno della maturità è morto il nonno a cui Giulia era molto legata e lei ha avuto un tracollo, è finita nell’SPDC dove è rimasta per quattro mesi. Posso dire che è entrata Giulia ed è uscita una ragazza che quasi non riconoscevo. Da lì l’avevano trasferita in una clinica a Verona, in un reparto per minorenni con difficoltà psichiche.

Dopo due mesi è tornata a casa e sembrava fosse migliorata, anche se non le era piaciuto questo percorso terapeutico perché lì c’erano delle regole soprattutto riguardo al cellulare: lei in quel periodo non poteva più farne a meno e tutto il resto del mondo restava fuori.

Siamo andati avanti un po’ con il CPS territoriale, fino a quando un nutrizionista le ha fatto un’ecografia alla tiroide e abbiamo scoperto un tumore. E’ stata operata al San Raffaele e da lì non è più tornata a casa perché nei giorni post intervento rifiutava cibo e acqua, così è stata trasferita immediatamente a Villa Turro nel reparto DCA.

E’ rimasta ricoverata 3 mesi ed è stata dimessa col sondino naso-gastrico: io non sapevo cosa fare, sembrava che il mondo mi crollasse addosso, perché alla dimissione il medico aveva ipotizzato un anno di sondino. Io ero terrorizzata, ma ci siamo attrezzati e abbiamo gestito la situazione di Giulia col sondino per due anni e mezzo a casa. In questi due anni e mezzo Giulia ne ha fatte di tutti i colori, perché la sua ossessione era quella di voler dimagrire e di non voler mangiare. Mettevamo la sacca della nutrizione per la notte e lei spesso la svuotava o la riempiva d’acqua, quindi per noi faceva la sua terapia ma in realtà non era affatto così.

Poi si sa che la fame non scompare miracolosamente, anzi tutt’altro, e a volte faceva delle abbuffate e non potendo vomitare, col siringone si aspirava il cibo ingerito attraverso il sondino.

Ci era stato detto che il sondino le sarebbe stato tolto solo su sua richiesta, perché se fosse stato tolto da loro Giulia avrebbe ripreso a perdere perso come prima. Io ero molto preoccupata, pensavo che dopo due anni e mezzo Giulia non avrebbe mai chiesto di toglierlo perché ormai faceva parte di lei, esattamente come la malattia. Mensilmente dovevamo andare a sostituirlo, questi due anni e mezzo sono stati un inferno per tutta la famiglia. Il fatto di avere il sondino le precludeva ogni cosa, nessun tipo di relazione esterna, una chiusura totale.

Nella malattia io ero diventata il suo punto di riferimento, mentre era cambiato il rapporto col padre da cui si era allontanata, perché mio marito diversamente da me era più forte. Le diceva che una vita in quelle condizioni non aveva senso e le ha detto anche delle cose pesanti per contrastare la malattia; lui la combatteva mentre io involontariamente la alimentavo e mi arrabbiavo con lui. Certo anch’ io ho avuto momenti di rabbia e di sconforto, momenti in cui non sapevo più dove sbattere la testa perché la situazione era davvero pesante. Giulia ha un fratello di 16-17 anni che si è trovato a vivere queste difficoltà nonostante avesse già avuto sin da piccolo una vita non facile per problemi di lussazione all’anca, con relativi interventi e sopraggiunte complicazioni. E’ probabile che anche i problemi del fratello possano aver influito sulla malattia, perché io spesso io ero fuori casa per seguire mio figlio nelle varie operazioni e lei era a casa con il papà; non so, ma forse in questi frangenti lei si è sentita abbandonata. Il papà comunque è sempre stato più fermo e contrastava gli atteggiamenti di Giulia e lei per questo motivo ha eretto un muro. Io ero il suo riferimento ma anche il suo bersaglio, in quegli anni avevo dentro tanta rabbia. Anche dopo aver fatto dei percorsi familiari, dove abbiamo compreso che si trattava di una malattia e non di un capriccio, la malattia è sempre stata una cosa difficile da accettare e da affrontare. Ho sempre percepito le malattie mentali come qualcosa di oscuro, qualcosa che non sarei stata in grado di affrontare, e questo deriva dal mio percorso scolastico quando frequentavo infermieristica. Ci avevano fatto visitare degli ex manicomi e la cosa mi aveva veramente devastato. Sono uscita da quei luoghi sperando di non avere mai a che fare nella mia vita con una malattia mentale, purtroppo invece la vita mi ha messo di fronte al problema di mia figlia.


Di fronte alla malattia di Giulia ho provato un grande senso di colpa; ti chiedi dove hai sbagliato e provi un grandissimo senso di inutilità perché questa malattia distrugge tutto, destabilizza: osservi la tua casa e vedi che non esiste più nulla, solo problemi. Questa non è più vita. Abbiamo passato dei mesi, degli anni in cui ci siamo sentiti impotenti.

Abbiamo proposto più volte a Giulia un percorso in comunità, ma essendo maggiorenne aveva sempre rifiutato. Durante il lockdown ha aperto un poco la porta e ha accettato di entrare nella comunità terapeutica di Villa Miralago, più con l’intento di dimagrire che di guarire. Ora Giulia è in questa struttura da 16 mesi.

Giulia dice che ha fame di affetto, di amore, anche se noi pensavamo di non averglieli mai fatti mancare. Poi sono sopraggiunti anche episodi di autolesionismo che mi hanno fatto spaventare, ma abbiamo capito anche queste dinamiche perché lei ci ha spiegato che nel momento in cui si faceva del male si sentiva meglio.

Abbiamo anche cercato di essere meno oppressivi nei suoi confronti, perché ci hanno consigliato di esserle vicini senza esercitare lo stesso controllo che esercitano loro, però sono stati anni pesantissimi. Se mi volto a guardare quello che abbiamo vissuto, tutte le sue crisi nei momenti in cui non riusciva a controllare il peso, le infinite volte che andava sulla bilancia, mi chiedo come abbiamo fatto a superare tutto questo. Posso dire onestamente che mi ha aiutato tanto la preghiera. Ho fatto un percorso di fede che mi ha aiutato ad andare avanti, poi fortunatamente ho avuto accanto delle care amiche come Giovanna, che ha avuto un’esperienza analoga e mi ha dato speranza, perché in certi momenti la speranza la perdi.

Questa malattia mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose che prima davo per scontate. E anche il rapporto con nostra figlia, dopo anni di lotte e di rabbia, lo stiamo recuperando in maniera serena. Ho capito tante cose di Giulia che forse prima non riuscivo a comprendere, anzi addirittura certi suoi atteggiamenti mi facevano arrabbiare. Forse non l’avevo capita a fondo.

Giulia ha avuto il permesso di uscire per la prima volta dopo 15 mesi e sono stati quattro giorni bellissimi: lei era tranquilla e si è affidata, l’ho proprio vista affidarsi a me, nel senso che mentre prima quando preparavo il pasto lei mi controllava, questa volta si è affidata, mi ha lasciato fare.

A Giulia direi ancora una volta che le vogliamo bene, di non aver paura, di andare avanti in questo percorso e di essere forte perché noi ci saremo sempre. Io sto cercando di dimenticare quel periodo terribile e cerco di guardare avanti ed è quello che ho chiesto anche a lei: di andare avanti, di lasciarsi alle spalle tutto quello che di brutto c’è stato e di voltare pagina per affrontare la vita che può essere meravigliosa.



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