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Pierluisa Rezzonico


Ho provato anche un forte sentimento di impotenza soprattutto la notte quando mi diceva “io voglio guarire, aiutami”


 

Sono Pierluisa, mamma di Vanessa attualmente ricoverata a Villa Miralago per anoressia nervosa e bulimia.

Mia figlia ha manifestato questo disagio circa tre anni fa e ha iniziato un percorso presso l’ospedale Niguarda di Milano. Verso il 2020 sembrava che le cose stessero migliorando ma poi la situzione è degenerata, il day hospital non bastava più e l’abbiamo dovuta ricoverare in questa struttura.

Tutta la nostra famiglia non conosceva questo tipo di malattia, tanto che quando Vanessa ci ha comunicato questo suo disagio, io in primis ho sottovalutato la situazione, pensando si trattasse di una fase transitoria dovuta all’adolescenza, che si sarebbe risolta tranquillamente nel giro di poco tempo.

Non abbiamo capito subito la gravità della situazione perché in ospedale ci avevano detto che era una malattia che in molti casi poteva durare anni ma che in altri si poteva risolvere in pochi mesi se riconosciuta precocemente.

All’inizio la situazione sembrava abbastanza gestibile, perché lei seguiva le indicazioni dell’ospedale, ma eravamo bloccati sulla questione del cibo, sempre quelle quattro cose, quelle tre verdure e non si vedevano miglioramenti.

Noi facevamo molta fatica, la sgridavamo pensando che si prendesse gioco di noi. Successivamente l’Ospedale ha proposto dei corsi per i genitori e devo dire che sono stati utilissimi perché ci hanno fatto capire esattamente cosa stavamo gestendo e ci hanno insegnato ad avere un comportamento diverso nei confronti di Vanessa. Piano piano grazie a questo percorso siamo riusciti ad entrare in empatia con lei; se ci avessero dato un piano alimentare senza delucidarci in merito alla malattia, non saremmo riusciti a comprendere.

Io non riuscivo a trovare una giustificazione riguardo questa malattia, perchè la nostra è sempre stata una famiglia normale con problematiche abbastanza comuni riguardo ai due figli adolescenti; Vanessa è sempre stata molto amata da tutta la famiglia, nonostante io lavorassi, lei era seguita da una persona.

Oltretutto inizialmente avevo notato in Vanessa un cambiamento positivo, ero contenta perché aveva cominciato a mangiare in maniera più sana, seguiva la sua dieta e pensavo “ ma guarda che brava ha deciso di perdere qualche chiletto non mangiando più dolci”, ma era tutta una finzione: essendo bulimica mangiava e vomitava, non solo quando ero al lavoro, ma anche quando ero a casa trovava il momento giusto per andare a vomitare. Non avendo avuto un dimagrimento drastico io ho faticato a realizzare il tutto.

Anche i suoi cambiamenti d’umore li attribuivo all’età, agli ormoni, alla crescita, alle faccende con il fidanzatino, spesso, giocando a pallavolo, il sabato e la domenica era fuori tutto il giorno, con mio marito; insomma una serie di cose che mi hanno impedito di comprendere subito la gravità della situazione.

Quando ho realizzato il tutto sono andata in tilt, ero incredula ed ho faticato a metabolizzare la faccenda, nessuno in famiglia aveva avuto problemi simili e quindi mi sembrava tutto incomprensibile.

Cercando di capire questa vicenda, ho attraversato dei momenti complicati, in cui non potevo confrontarmi con altri, perché non c’erano persone accanto a me in grado di capire.

Nella fase acuta della malattia, quando Vanessa aveva perso moltissimo peso è arrivata la pandemia e fortunatamente l’Ospedale Niguarda ha creato un reparto dove le ragazze seguite in day hospital sono state ricoverate, e credo che questa cosa abbia salvato tutte le famiglie che, altrimenti, si sarebbero trovate in una situazione “surreale nel surreale”, perchè da marzo a maggio non avrebbero saputo cosa fare. Non avremmo potuto neppure recarci in pronto soccorso se fossero state male.

In quel periodo ho trascorso notti in bianco, fatte di pianti e preghiere. Io sono credente e praticante e la preghiera è stata il mio unico conforto, perchè non c’era nient’altro. Poiché gli psicologi erano impegnati con i ragazzi, ricevevo solo le sue telefonate alla sera e, a volte, speravo quasi che non chiamasse perché la maggior parte dei discorsi erano:“mamma voglio venire a casa, mamma sono stanca, mamma non ce la faccio più”; perché le giornate trascorse in un reparto psichiatrico d’ospedale sono un incubo già in condizioni normali, in quella situazione, le ore non passavano mai.

Ho provato molteplici sentimenti: rabbia, grande paura, sconforto all’idea di non essere in grado di proteggere ed aiutare i miei figli, senso di inadeguatezza perché in una situazione così ci si deve reinventare. Devi essere mamma, psicologa, psichiatra ed anche amica, perché in quel momento tutti gli amici scompaiono, i pochi che restano, magari si impegnano in tutti i modi, ma non conoscendo il problema non riescono ad essere d’aiuto.


Ho provato anche un forte sentimento di impotenza soprattutto la notte quando mi diceva “io voglio guarire, aiutami” e, non sapendo cosa fare, potevo solo rincuorarla dicendole che tutto si sarebbe sistemato, occorrevano tempo e pazienza, per ritrovare la serenità.

Ho conosciuto la solitudine molto presto nella mia vita per una serie di motivi, quindi sono abituata a vivere e a stare bene con me stessa, a fidarmi solo di me e a cavarmela da sola; penso di essere forte proprio per questo. Ho cercato di trasmettere questa cosa anche ai miei figli ma non è facile. Io dico sempre che la sera ognuno di noi chiude la porta di casa e resta con i suoi problemi. Quindi non ho provato il senso di solitudine, anzi a volte la ricerco io perché mi ha sempre aiutato a riflettere e ad andare avanti in tutte le situazioni.

Il pregiudizio riguardo a queste malattie esite, soprattutto nei piccoli paesi come quello in cui abitiamo noi, esiste una fascia di persone che non sono in grado assolutamente di capire questo genere di problemi, giudicano e etichettano come “la malata di mente” quelli che sono in questa condizione.

In questi mesi ho visto un miglioramento in Vanessa, è cresciuta, è diversa rispetto a quando è entrata in struttura. La prima volta che le hanno permesso di venire a casa per due giorni ho avuto paura, perché l’esperienza col cibo al Niguarda è stata un po’ traumatica, e avevo il timore di rivivere l’esperienza pregressa. Invece non è andata così, l’atteggiamento che ha adesso nei confronti del cibo è totalmente cambiato, io mi sono rasserenata e mi sento pronta a questo nuovo atteggiamento, perché quello che è accaduto prima non si deve più ripetere.

Una cosa che ho imparato da questa esperienza è che non si deve mai giudicare il prossimo basandosi sulle apparenze, perché dietro ogni persona c’è una storia su cui si deve riflettere prima di esprimere pareri. Penso che ognuno di noi debba percorrere la sua strada, che nulla arriva per caso, che Vanessa, con la sua malattia, possa fare da portavoce, aiutare qualcuno con la sua esperienza, se anche riuscisse con una sola persona non si sarebbe ammalata per niente.

I nostri figli durante la malattia erigono dei muri e noi mamme siamo quelle più penalizzate, a volte anche noi ci proteggiamo dietro a dei muri, che ci consentono di staccare temporaneamente, nel momento in cui ci sentiamo più sfinite. Fortunatamente io e mia figlia abbiamo sempre dialogato molto, lei si è sempre dimostrata molto ragionevole, se devo dire la verità tante volte era lei che dava le risposte a me senza aspettare che io facessi le domande, con Vanessa il rapporto è sempre stato chiaro. Sia io che mio marito abbiamo capito che dovevamo avere un rapporto sincero e quindi tra alti e bassi, c’è sempre stato un dialogo. Forse faccio fatica a ricordarmi la parte brutta della malattia, cioè la fase iniziale, quando stava male, si chiudeva in camera e anch’io stavo male per le bugie e perché mi trattava male, probabilmente noi mamme certe cose le rimuoviamo, un po’ come i dolori del parto, e questa credo sia la nostra salvezza perché è necessario rimuovere certe cose.

Se Vanessa fosse qui le direi quello che le scrivo tutte le sere:“ ti voglio tanto bene, ti mando un abbraccio, sono fiera di te”. Quando era piccolina era molto solare ed espansiva e la invitavano a tutte feste e io le ho sempre detto non cambiare mai questo carattere socievole, perché ho l’abitudine di esprimere ciò che penso; probabilmente mi risponderebbe“ basta mamma, dai non rompere”.

Devo ammettere che Vanessa mi ha sorpresa con la sua intervista, ma sono molto contenta che l’abbia fatta, prima di tutto per se stessa e in secondo luogo per tutte quelle persone che in questi anni hanno fatto tante domande alle quali lei ha risposto molto serenamente, e questo lo poteva fare solo lei, non toccava a me parlare della sua malattia, non sarebbe stato giusto e lei l’ha fatto con grande coraggio e onestà e di questo io ne sono contenta e sono fiera di lei.

Questa è la Vanessa che mi aspettavo venisse fuori un giorno perché lei è sempre stata così, quindi significa che con la malattia non si è persa ma si è ritrovata.





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