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Roberta


Quando è successo tutto questo ho provato una solitudine devastante, le persone intorno a me, compreso i miei familiari, non capivano


 

Sono Roberta la mamma di Federica.

Federica si è ammalata di anoressia nel gennaio 2015, aveva 14 anni e mezzo e un bel giorno ha deciso di non mangiare più nulla, così all’improvviso. Abbiamo cercato di capire cosa fosse accaduto, forse qualche segnale di disagio l’aveva manifestato anche prima. Mi ricordo che un giorno mi aveva chiamata in bagno per dirmi: “non riesco a trovare un vestito giusto per me”.

Da lì ha assunto una serie di atteggiamenti particolari, come quello di specchiarsi continuamente, tant’è che ha persino rotto l’asse del water a furia di salirci per guardarsi allo specchio. Si chiudeva in bagno o in cameretta; noi abitiamo in una casa su più livelli e io cercavo di non lasciarla mai sola e di tenerla lontano dal bagno il più possibile.

Ha perso molto peso era arrivata a pesare 32/34 chili e io l’aspettavo alla fermata dell’autobus per portarla a casa, mi rendevo conto che stava peggiorando e cercavo di capire se ci fossero problemi a scuola. Frequentava il primo anno di Liceo Classico ed era molto demoralizzata perché non riusciva molto bene in greco e in altre materie.

Avevo sentito parlare di queste malattie, senza mai avere avuto esperienze dirette, ricordavo che una compagna di Federica, alle elementari, aveva una sorella che soffriva di anoressia, però non l’abbiamo mai conosciuta.

Quando è successo tutto questo ho provato una solitudine devastante, le persone intorno a me, compreso i miei familiari, non capivano. Solo mia madre ha capito però non poteva starmi vicino.

Mia sorella non mi ha aiutata per nulla, mi ha detto soltanto che, se tornavo tardi, potevo cenare da lei. Solo adesso che è rimasta vedova si rende conto di quanta solitudine si possa provare e mi dice che deve trovare una ragione di vita.

Ho iniziato a colpevolizzarmi nei confronti di mia figlia quando mia madre mi ha detto che lavoravo troppo e la trascuravo. Ho rinunciato a tutto, anche all’insegnamento del nuoto, che facevo per hobby. Senza supporto non potevo fare ciò che desideravo. Ci sono stati anni in cui Roberto, mio marito, lavorava di notte ed io dovevo essere a casa prima che lui uscisse. Ho chiesto poche volte a mia madre di tenere Federica fino alle 9, mi sono sentita rispondere: “ma tu non ti rendi conto, tua figlia di qui, tua figlia di là…”. Ho dovuto allontanare tutta la famiglia.

Per assurdo mi hanno aiutato di più gli estranei: una mia ex collega, i miei datori di lavoro che mi hanno permesso di lavorare da remoto. Io lavoravo anche di notte in ospedale, per me il lavoro rappresentava anche un aiuto, perché mi consentiva di non pensare ai miei problemi.

Abbiamo parlato con la scuola, ma né i professori né i compagni hanno compreso la situazione, la preside chi ha consigliato di ritirarla e, quando fosse stata un po’ meglio, di iscriverla ad una scuola più semplice dello stesso comprensorio.

Federica non ce la faceva, era già svenuta un paio di volte a casa, con mio marito ci siamo rivolti ad una psicologa per capire come aiutarla e lei ci ha consigliato di ritirare subito da scuola Federica e di rivolgerci ad un pronto soccorso.

Ho temuto veramente di perderla, le controllavo il battito cardiaco tutte le notti, era arrivata ad avere 28 battiti al minuto.

Per affrontare tutto questo calvario ci vuole una forza infinita.



Abbiamo consultato una dottoressa di Milano che ci era stata consigliata, ma la cosa non ha funzionato. Una sera è svenuta, l’abbiamo portata in ospedale dove il medico, vedendo la frequenza cardiaca, l’ha trattenuta in pediatria. Abbiamo cominciato ad avere un mare di problemi: attivazione di servizi sociali, di un servizio psichiatrico, senza comprendere cosa stava accadendo. Una psichiatra voleva chiedere un consulto, un suo collega che ha detto “vogliamo inquadrare sua figlia” senza dare spiegazioni, né su come progettassero di curarla, né riguardo al percorso da intraprendere.

Non sapevano nemmeno loro cosa fare, così ho firmato e ho anche rifiutato il supporto psichiatrico dell’ospedale, ho persino invitato ad andarsene dalla camera di mia figlia l’assistente sociale, perché impreparata, si era presentata con l’intento di fare compagnia a Federica, senza essere in grado di trovare le parole giuste da dirle.

Federica è stata poi ricoverata a Villa Garda dove le hanno messo il sondino. Durante il suo ricovero anche mio marito si è dovuto sottoporre ad un intervento alla prostata, ed io viaggiavo avanti e indietro dall’ospedale alla clinica. Il percorso di cura di Federica non ha funzionato: dopo una settimana dal rientro a casa mia figlia piangeva quando si trovava davanti una pietanza.

Mio marito è stato infine dimesso e Federica, dopo un’altra corsa in pronto soccorso, nuovamente ricoverata.

Ci siamo rivolti anche all’Ospedale San Paolo di Milano dove c’è un reparto di cura dei disturbi alimentari ma, sebbene Federica fosse in gravi condizioni, l’infermiera del pronto soccorso, con molta chiarezza, ci ha invitato ad andarcene.

Disperati ci siamo recati nuovamente all’ospedale dove era stata ricoverata la prima volta, anche qui stavano per rifiutarci le cure e il ricovero: alle 22.30 hanno allertato la psichiatra di turno, abbiamo aspettato sino a mezzanotte, quando ho chiesto o di firmarmi il rifiuto di ricovero o di provvedere ad aiutarla. Quando finalmente la psichiatra è arrivata, a mezzanotte, come prima cosa ha pesato Federica che era completamente a digiuno ed aveva una frequenza cardiaca di 40 battiti al minuto. Abbiamo trascorso la notte in pronto soccorso con mia figlia attaccata ad una flebo di fisiologica, il mattino dopo ci hanno letteralmente buttati fuori, invitandoci a tornare a casa.

Abbiamo ripreso a farla seguire privatamente, ma Federica ha rifiutato il percorso ed alla fine è stata nuovamente ricoverata a Villa Garda. Lavoravo tutta la settimana, mi recavo da lei nel fine settimana, mentre mio marito rimaneva a casa.

Questi ricoveri a Villa Garda prevedevano anche un day hospital di 6/7 mesi, era quindi necessario trovare lì un alloggio. Il day hospital non ha funzionato, la psicoterapeuta della clinica non ha più voluto occuparsi di Federica dicendole “basta! Il percorso finisce qua perché tu non vuoi farti curare e quindi ti saluto”.

Una risposta per me inaccettabile, trovo inconcepibile che un medico rifiuti di curare un paziente. Siamo comunque tornati a casa per ricominciare tutto nuovamente. Ci siamo rivolti all’Istituto Auxologico di Milano, non so cosa le abbiano detto durante la prima visita, ricordo solo che è uscita in lacrime dicendomi: “io non mi faccio curare qui” ed ha voluto tornare a casa.

Abbiamo nuovamente provato privatamente da uno psichiatra, che ci ha messo a disposizione anche uno psicologo ed una dietologa, lascio immaginare i costi. Per un anno e mezzo quasi due la cosa ha funzionato, poi un giorno è rincasata dicendomi: “io dallo psicologo non ci vado più, se vuoi ci vado solo per farti piacere. Non ho più voglia di perdere tempo perché io non ho più niente da raccontargli… a questo punto cosa fai?

Con la pandemia abbiamo interrotto tutto. Un giorno mi ha detto: “mi rendo conto che anche se tu volessi aiutarmi, tu non lo puoi fare. Io non sono in grado di guarire da sola o con il tuo aiuto.” Io le ho risposto: “Federica ti stai dicendo da sola che ti serve un altro ricovero”; ma a questo punto serviva un posto diverso, non una clinica come quella già sperimentata.

Ci siamo attivati presso Villa Miralago chiedendo una visita al direttore sanitario che ci ha spiegato tutto l’iter. Ci siano quindi rivolti al CPS di nostra competenza e sono cominciati nuovamente i problemi.

Innanzitutto, pur avendo tutta la documentazione riguardo a mia figlia, la psichiatra del CPS voleva pesare Federica per predisporre una nuova scheda. Quando le ho fatto notare la cosa si è un po’ inasprita, mi ha fatto risposto che sarei dovuta prima passare dal CPS prima di consultare la clinica ed ha quindi negato il ricovero d’urgenza. Normalmente nessuno nega un ricovero d’urgenza, ma al CPS non sapevano nulla riguardo a questa malattia.

In quel periodo io tornavo a casa a mezzogiorno, mangiavo in piedi, intanto che mia figlia mangiava zucca. Lei in inverno mangiava solo zucca, tanto che la sua pelle era diventata arancione. Spendevo mediamente 60 euro la settimana in zucche e un commerciante è arrivato a pensare, vedendo il suo colorito, che fosse malata di fegato. In estate mangiava solo angurie.

Roberto forse non si è reso veramente conto della gravità della malattia. Provavo una solitudine immensa, io di questa cosa non sono riuscita a parlarne per 6 anni e ora riesco a parlarne in lacrime.


Per un genitore è devastante, senza un supporto psicologico non ce la può fare. Noi ne abbiamo iniziato uno assieme che però non ha funzionato ed adesso ognuno ha il suo.

Normalmente i genitori provano paura, io non ne ho, mi è successo di avere paura quelle volte in cui le ho controllato il polso.

Un giorno Federica è sbottata dicendo che non sapeva come esprimersi, e da quel momento il suo modo di comunicare è stato buttare per terra una tazza di latte o piegare in due una forchetta.

Qualche atto di autolesionismo l’ha fatto, si graffiava e io non avevo modo di calmarla. Si chiudeva molto in sé stessa e litigavamo parecchio. Mentre cerchi di tenere calma lei perdi la tua e non sai più cosa fare, accade la stessa cosa al padre, lei sta male e subentra la disperazione.

Il primo ricovero di Federica è stata per noi l’esperienza peggiore: firmare una liberatoria ed affidare una figlia di 14 anni a persone che non danno spiegazioni è stato devastante. Inizi a cercare di capire le dinamiche, ad agganciare tua figlia che si allontana da te e non ti vuole. Un giorno se n’è andata senza neppure salutarmi anche se io facevo 400 Km alla settimana per vederla.

Vivi nel terrore di perderla, non dal punto di vista affettivo, ma proprio di vederla scomparire. Sarebbe accettabile perderla perché sceglie di andarsene, ma quando è in pericolo di vita è una cosa ben diversa. Quando la vedi dormire in pieno agosto con quattro piumoni ti rendi conto che tutto va male, ti senti impotente quando ti dice che non vuole farsi curare; in quest’ultimo caso non so se ho provato disperazione o rabbia.

Mia figlia è stata oggetto di bullismo a scuola, penso che sia doveroso innanzitutto insegnare ai professori come trattare i ragazzi, perché molti non si rendono conto dell’importanza del loro ruolo di educatori, altri, se ne fregano proprio. Affrontare anche il tema dei disturbi alimentari nelle scuole è fondamentale. Occorre far comprendere che vivere è più importante dell’ago della bilancia.

Questa malattia cambia tutti, non solo i nostri figli. Anche tu cambi le tue priorità, le prospettive. Prima facevi dei programmi, dei progetti diversi, ora vivi proprio alla giornata.

L’Associazione dei genitori è una risorsa preziosa: è importante credere nell’alleanza, nella condivisione, nella divulgazione, nel supporto e nello spirito associativo.

Onestamente io non so se riuscirei a dire tutto ciò che sto dicendo ora in un gruppo di ascolto, riesci ad aprirti solo con la persona con cui si crea empatia.

Ai genitori che si trovano in questa situazione direi che è il momento di tirare fuori tutta la grinta che si possiede. Direi loro di non permettere mai a nessuno di ostacolare il percorso di cura dei loro figli, prendendo, se necessario, posizione. A volte penso alle dure battaglie che ho fatto, sicuramente è anche questione di carattere, perché forse Roberto non le avrebbe fatte.

Se Federica fosse qui ora l’abbraccerei e non la riporterei in clinica, anche se so che per lei è necessaria

Mia madre lavorava in un ospedale psichiatrico e quando ero ragazzina andavo a trovarla, entravo in ospedale passando dalla portineria, ricordo tutti quei cancelli chiusi che mi facevano paura e immaginavo la sofferenza che celavano. Certe immagini ti rimangono impresse nella mente soprattutto quando sei bambina.

Quando entro a Villa Miralago, anche se il posto è molto diverso, è comunque una comunità psichiatrica, torno indietro con la memoria, mi sembra di rivedere quel posto; mi viene un’angoscia terribile, provo un dolore indescrivibile.



Roberta e Roberto

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