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Roberta


" Il fatto di non sentire più niente, di anestetizzare tutto anche attraverso il dolore era un sollievo per me. Poche volte mi riconoscevo, alcune volte mi guardavo allo specchio e vedevo questo corpo completamente smunto."


 

Mi chiamo Roberta, sono ricoverata da un anno e qualche mese tecnicamente per anoressia nervosa. In realtà non lo so esattamente perché fortunatamente sono stata malata per poco tempo e non so come si sarebbe evoluto il disturbo, se si sarebbe trasformato in bulimia o avrei continuato a restringere: ufficialmente il mio ricovero è per anoressia. Ho iniziato a stare male seriamente solo due anni fa, un anno prima di essere ricoverata, la grande fortuna che ho avuto è che i miei genitori si sono subito allarmati per il mio stato di salute. Già prima di ammalarmi pesavo molto poco, un po’ per costituzione un po’ per lo stile alimentare un po’ sregolato. Ero spesso in giro per lavoro e per studio, facevo un pranzo al volo quando riuscivo e cenavo se potevo, quindi avevo già un peso molto basso di partenza. Ad un certo punto ho voluto consciamente perdere peso per ammalarmi, la mia è stata una decisione consapevole. Non so se cercassi l’attenzione o l’accudimento di qualcuno, però volevo aggravare la mia situazione, mi ero informata su quali fossero i range di peso considerati gravi in base alla mia statura e la mia corporatura e mi sono adoperata per arrivare a quel peso, quindi con un obiettivo preciso. Il tutto è iniziato così, e poi la cosa mi è sfuggita di mano, ho perso ancora molti chili, fino ad arrivare ad un livello critico ma nel frattempo negavo l’evidenza. I miei genitori ovviamente si erano resi conto della mia magrezza e sin da subito mia madre si è preoccupata e mi ha chiesto se fossi diventata anoressica, io avevo finto di schernire la cosa dicendo che l’anoressia era una cosa ben più grave di perdere qualche chilo. Poi sono subentrati tanti altri problemi, l’autolesionismo su tutti, e anche lì è stata una fortuna nella sfortuna perché questi problemi mi hanno portata a dovermi rivolgere a una dottoressa per le medicazioni visto che avevo contratto un’infezione. Questa dottoressa è un’endocrinologa esperta in disturbi alimentari che mi seguiva già per la terapia ormonale, perché io sono una ragazza trans.

Ho iniziato ad essere seguita da lei e andavo ogni giorno per farmi medicare le braccia, così monitorava anche un po’ il peso. Ad un certo punto la cosa è andata fuori controllo perché ogni giorno mi procuravo delle lesioni estremamente gravi. Lo facevo per tanti motivi diversi. La prima volta è stato mentre mi trovavo in vacanza, in un ambiente in cui avrei dovuto essere serena, però ero in mezzo a tanta gente, in contatto con tante persone che non conoscevo; io sono una persona molto schiva e mi trovavo in estrema difficoltà, un po’ per il senso di inadeguatezza, e anche il fatto di trovarmi una situazione iper-stimolante per le mie possibilità mi ha portata a bruciarmi per la prima volta con un accendino. Da lì sono passati dei mesi, ricordo di averlo fatto un’altra volta per un motivo analogo, una mia amica mi ha contattata perché stava avendo una grave lite con il suo compagno che minacciava di suicidarsi, era arrivato ad una situazione limite, anche in quel caso il senso di impotenza, il non saper controllare la cosa mi hanno portato a farmi del male e in quell’istante ho scaricato la tensione, ho sentito proprio il peso che se ne andava. Il dolore fisico per anestetizzare il dolore dell’anima, ma poteva essere anche un modo per punirmi se mangiavo più di quello che consideravo giusto, se qualcosa non andava mi facevo del male per punirmi, per giustificare questa inadeguatezza e ad un certo punto è diventata un’abitudine, lo facevo perché ne avevo bisogno. Tutte le mattine mi svegliavo, mettevo sul fuoco il pentolino del tè e quando l’acqua bolliva lo toglievo dal fuoco e me lo premevo sulle braccia, era diventato un gesto senza il quale non potevo stare.

Quando sei nella malattia pensi di avere il controllo su tutto, inizialmente era il controllo sul cibo, il fatto di riuscire a non mangiare e a fare comunque tutto quello che dovevo fare nell’arco della giornata mi dava un fortissimo senso di controllo. Io suono la chitarra, studio in Conservatorio e paradossalmente il livello più alto di capacità esecutiva l’ho raggiunto nel momento in cui ho iniziato seriamente a restringere l’alimentazione, perché avevo questo senso di onnipotenza che mi permetteva di non mangiare nulla tutto il giorno e studiare otto, nove ore di fila senza mai staccare, senza pause. Poi ovviamente il castello è crollato e sono arrivata al punto di non avere più le energie fisiche e mentali per studiare, ma ci sono voluti mesi prima che ci arrivassi, fino all’ultimo io ho cercato di fare di tutto, fino a che sono arrivata in ospedale e dopo un paio di settimane di day hospital, visto che la situazione non faceva altro che aggravarsi, mi hanno proposto un ricovero in psichiatria. Io mi ostinavo a non farmi ricoverare perché sentivo di essere ancora in grado di dare, di lavorare, di studiare e fino a due giorni prima del ricovero sono comunque andata al lavoro, ho cercato di adempiere a quelli che sentivo i miei doveri. Io ero diventata la malattia, ero diventata la mia magrezza, ero diventata le mie ferite, sentivo di essere quello. Roberta non so dove fosse, è difficile, non saprei rispondere neanche adesso. Questa malattia appiattisce tutte le emozioni ed era esattamente la cosa che io cercavo, perché ho sempre avuto il problema del sovraccarico emotivo, facevo e faccio ancora fatica a distinguere le emozioni, a valorizzarle quando ce n’è bisogno o tenerle a bada quando serve farlo: il mio era un appiattimento emotivo voluto. Il fatto di non sentire più niente, di anestetizzare tutto anche attraverso il dolore era un sollievo per me. Poche volte mi riconoscevo, alcune volte mi guardavo allo specchio e vedevo questo corpo completamente smunto, con delle ferite spaventose e avevo dei brevi momenti di lucidità in cui mi chiedevo cosa stessi facendo, però poi tornavo sempre alla restrizione alimentare, al vomito, all’autolesionismo, perché erano diventati la parte più importante di me, si erano presi tutto senza dare nulla in cambio, perché quello che avevo ottenuto era solo illusorio, questa sensazione di controllo, di onnipotenza, di capacità di gestire tutto.

Tutto è incominciato proprio in concomitanza con la terapia ormonale, è stato in quel momento che ho iniziato ad ammalarmi seriamente, nel momento in cui sarei dovuta essere più felice, più raggiante per aver ottenuto questo grande traguardo, invece è crollato tutto, e mi chiedo il perché. Me lo sto chiedendo perché a breve dovrò fare le udienze in Tribunale per la rettifica anagrafica e per gli interventi chirurgici e ovviamente il Tribunale terrà conto del fatto che la terapia ormonale ha coinciso con l’insorgenza di gravi problemi psicologici. Anche in quel caso è stato un motivo banale, il fatto che la terapia ormonale prevede come conseguenza naturale il fatto che si aumenti un po’ di peso perché rallenta il metabolismo, perché aumenta la percentuale di massa grassa, insomma ridimensiona un po’ l’organismo; anche lì ho voluto esercitare questa forma di controllo perché sentivo tante ragazze che dicevano che da quando avevano iniziato avevano preso diversi chili, io volevo dimostrare a tutti che invece io ne avrei persi di chili, perché io ero più forte degli ormoni, ero più forte delle altre ragazze, perché mi sapevo controllare. Poi c’è anche lo scombussolamento emotivo degli ormoni che è come una seconda adolescenza e tante altre cose. Quando tutto doveva andare bene, in realtà tutto è iniziato ad andare male. Mi ricordo quando facevo i primi colloqui in ospedale, questo era un punto su cui calcavano la mano, lo rimarcavano, dicevano che avevo fatto una scelta forte, avevo preso una decisione importante, io la minimizzavo dicendo che sarebbe stato più difficile scegliere di non intraprendere quel percorso, perché ad un certo punto era diventata un’urgenza inarrestabile il fatto di volermi riprendere la mia identità.

Minimizzavo tutto quello che facevo, gli ottimi voti che prendevo in Conservatorio, minimizzavo i risultati sul lavoro, nulla era mai abbastanza e questo l’ho fatto anche nella malattia. Non mi sono mai considerata abbastanza malata, tant’è che io sono stata ricoverata a luglio a Villa Miralago, invece l’ultimo ricovero che ho fatto in ospedale era a metà maggio; per via delle lesioni alle braccia ero stata operata e da lì avevo smesso con l’autolesionismo e per qualche mese la cosa è stata sotto controllo fino a quando mi è arrivata la notizia della data di ingresso a Villa Miralago e mi sono procurata di nuovo un’ustione molto grave perché la consideravo il mio lasciapassare per venire qui, la dimostrazione del fatto che fossi abbastanza malata, perché avevo recuperato tutto il peso che avevo perso, forse per la prima volta nella vita ero normopeso e quindi non mi sentivo abbastanza grave per essere ricoverata. Il senso di inadeguatezza mi ha accompagnata e mi accompagna ancora in tutto, riuscire a combatterlo è difficile perché dopo tanti anni spesi a svalutarsi è difficile imparare a riconoscersi in qualche traguardo. I miei genitori si domandano da dove venga questo senso di inadeguatezza che tra l’altro affligge un po’ anche mia sorella, perché loro non sono mai stati dei genitori che richiedevano la perfezione assoluta, non sono mai stati dei gendarmi. Io e mia sorella siamo sempre state delle brave bambine, mia sorella di più, io vivevo in maniera un po’ più tranquilla sia la scuola che il rapporto con gli amici, non avevo questa ambizione di perfezione, è arrivata dopo. Un po’ con la musica, perché nella mia visione la musica pretende la perfezione, e anche questo è un paradosso, perché io studio Jazz che è improvvisazione e capita di sentire le registrazioni ufficiali dei grandi musicisti e dei grandi maestri in cui ci sono degli errori: però i loro errori io li accetto, ma i miei no.

Non ho ancora imparato ad amare Roberta, come dicevo prima, quando mi vedevo allo specchio ridotta ad uno straccio mi capitava di provare un po’ di compassione per me, però erano momenti fugaci, poi tornava l’odio per un corpo che non accettavo, per i miei insuccessi, tornava questo disprezzo estremo nei confronti della mia vita. I miei successi li facevo durare il tempo di un respiro, come quando sono stata ammessa in Conservatorio, ricordo il senso di estrema gioia e soddisfazione che però è durato un attimo, poi è sparito e sono dovuta tornare a quello che ero prima; la stessa cosa la ricordo chiaramente sia per la mia laurea in lingue che per la maturità. Non ho mai festeggiato, avevo fatto semplicemente il mio dovere, nulla di più.

Purtroppo penso che la perfezione sia tutto, questo è un pensiero sul quale mi ostino e su cui forse dovrei lavorare di più, perché continuo a reputare la perfezione un modello da raggiungere. Questa cosa la riporto molto dallo sport, mi piace praticarlo e mi piace moltissimo guardarlo e prendo esempio dai grandi campioni, in loro riconosco la perfezione e rimango molto delusa quando non vincono perché mi crolla un mito. Un grandissimo esempio per me è una grande sciatrice Mikaela Shiffrin, lei spesso viene definita un robot perché effettivamente è una macchina. Forse è come dicevi tu, la perfezione è la capacità di rialzarsi dalle cadute, ed io ricerco proprio questo, riuscire a migliorarsi ogni volta; essere ogni giorno migliore del precedente. Bisogna avere coraggio per mettersi in discussione, per dire che quello che si è fatto non è abbastanza, forse però si rischia di entrare in questo circolo vizioso, in cui non si è mai abbastanza e non lo si sarà mai. L’ho notato molto in Conservatorio, perché è un ambiente estremamente competitivo, ad esempio ai corsi di musica d’insieme bisognava superare delle selezioni per essere ammessi e ad un certo punto io non ho più neanche avuto il coraggio di presentarmi alle selezioni perché partivo dal presupposto di non passarle.

Io e mia sorella abbiamo recuperato un rapporto solo negli ultimi anni, prima non avevamo un grande rapporto, spesso eravamo in conflitto, dopo che ho condiviso con lei la mia transessualità abbiamo creato un legame molto forte, ora che sono qui ci sentiamo quasi ogni giorno, ci supportiamo a vicenda nelle decisioni difficili e mi dispiace di aver perso così tanti anni di convivenza.





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