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Sabrina


" Lei era ormai diventata “la malattia”, diceva che si identificava con essa, che finalmente era diventata qualcosa, che prima non era niente. Ha scritto una frase che mi ha colpito molto “sono un errore, sono sbagliata” e in fondo scritto in piccolo “ salvatemi da me stessa”. Queste frasi scritte da una ragazzina di 16 anni ti lasciano senza parole "


 

Sono Sabrina, la mamma di Sara che ha quasi 17 anni e soffre da due anni di un disturbo del comportamento alimentare. All’inizio non sapevamo di cosa trattasse perché tutto è iniziato con un problema fisico: da un giorno all’altro non è più riuscita a camminare, non riusciva più a muovere una gamba e naturalmente ci siamo rivolti ad un ortopedico e abbiamo fatto tutti gli esami del caso, ma da questi non risultava alcun problema. E’ andata a scuola per alcuni mesi con le stampelle ma questo dolore non passava, anzi ha iniziato ad avere forti dolori anche alla schiena e non riusciva più ad alzarsi. Altri controlli, risonanza, TAC, lastre, dalle quali però ancora una volta non risultava nulla. Non potendo più nemmeno frequentare la scuola seguiva le lezioni in DAD; poi sono iniziate anche le vertigini e il mal di testa tutto il giorno, ha avuto un forte abbassamento della vista e faticava a vedere, noi eravamo preoccupatissimi. Siamo stati da tantissimi specialisti ma il risultato era sempre uguale, non riuscivano a trovare la causa e così abbiamo iniziato anche a farla seguire da uno psicologo.

Devi sapere che Sara durante gli anni delle scuole medie era stata vittima di bullismo; veniva costantemente presa in giro per ogni cosa, per il suo carattere, per la sua altezza perché è piccolina, per il fatto che le piaceva studiare. Veniva sempre esclusa e tornava spesso da scuola piangendo e io l’avevo indirizzata allo sportello psicologico della scuola dove è andata tre volte e poi non è voluta più andare. Cercavamo di darle supporto a casa dicendole di non dar troppa importanza a ciò che le veniva detto, in modo da non alimentare la cosa. Pian piano sembrava essersi lasciata alle spalle questa questione, ma durante la seconda superiore ha iniziato ad avere quei problemi fisici di cui parlavo prima.

E’ stata seguita da dicembre a maggio dallo psicologo, ma a marzo con il lockdown la cosa è andata peggiorando e aveva cominciato anche a dimagrire. Affermava che le faceva male lo stomaco e non riusciva a mangiare e diminuiva le porzioni; nell’arco di tre mesi ha perso moltissimi chili, andava in bagno e vomitava tutto, non teneva giù più nulla.

Da quel momento è degenerata anche la relazione familiare, avevamo sempre avuto un rapporto bellissimo e tutt’ora lei ci racconta tutto. Non è mai stata una ragazzina chiusa, con noi ha sempre avuto uno splendido rapporto e anche in quel periodo quando le abbiamo chiesto cosa stava succedendo lei ci ha detto che aveva un dolore fortissimo che le impediva di vivere, non ce la faceva più ad andare avanti. Diceva di voler scomparire, di voler morire. Parlando con la psicologa che la seguiva avevamo ipotizzato un possibile disturbo alimentare, ma lei continuava a dirci che il disturbo alimentare era solo una conseguenza della depressione, che era necessario lavorare su quello e ci indirizzato da uno psichiatra che ha iniziato una terapia per la depressione, ma risultati non ce n’erano. E’ stata seguita anche da una nutrizionista e abbiamo osservato scrupolosamente tutto quello che ci consigliavano questi professionisti. A casa le tensioni erano sempre più forti, usando sempre le buone maniere cercavamo di farla mangiare, ma inconsciamente stavamo diventando per lei i suoi carnefici perché mangiare era una cosa che non riusciva e non voleva fare e noi cercavamo di insistere proprio su quello. Lei era ormai diventata “la malattia”, diceva che si identificava con essa, che finalmente era diventata qualcosa, che prima non era niente. Ha scritto una frase che mi ha colpito molto “sono un errore, sono sbagliata” e in fondo scritto in piccolo “ salvatemi da me stessa”. Queste frasi scritte da una ragazzina di 16 anni ti lasciano senza parole.

A quel punto abbiamo chiesto aiuto a tutti, finché lo psicologo ci ha detto che Sara necessitava di un ricovero in una struttura psichiatrica a Verona. Purtroppo è stata un’esperienza devastante. E’ peggiorata moltissimo, è arrivata ad un peso limite perché non mangiava ma non è mai stata inviata ad una struttura ospedaliera per essere seguita da un punto di vista nutrizionale, è stata invece mandata a casa. Sono andata con un’impegnativa d’urgenza in diverse strutture ospedaliere, nessuna l’ha accettata. L’ho tenuta a casa tre mesi a rischio vita, ho avuto tanta paura di perderla ma dovevo assolutamente aiutarla e sono riuscita a farle prendere tre chili, forse anche grazie alla sua voglia di stare con noi dopo quel devastante ricovero. Ovviamente era nuovamente seguita dai vari professionisti, ma purtroppo nessuna struttura la prendeva in carico.


In questi tre mesi a casa ho rischiato davvero tanto perché nell’ultimo periodo le cose stavano nuovamente degenerando: non avvicinava più nulla alla bocca, né cibo né acqua. Nel frattempo ci siamo appoggiati alla neuropsichiatria di Trescore, che è la nostra struttura territoriale di riferimento, e grazie a loro siamo riusciti a trovare un posto nel reparto di Pediatria di Seriate dove siamo state entrambe per tre mesi, in pieno periodo Covid, chiuse in una stanza d’ospedale da dove non potevamo neppure mettere fuori il naso. Questo periodo però è servito moltissimo a tutte due perché lì le hanno messo il sondino e io non dovevo più pensare all’alimentazione, potevo pensare solo a Sara, alla sua anima, al suo benessere. Abbiamo iniziato a fare tutte le attività creative possibili, dal collage alla poesia e ci siamo riavvicinate tantissimo. Questo mi è stato molto utile, perché prima mi domandavo in continuazione cosa avrei potuto fare più di quello che stavo già facendo, se avrei potuto farlo in modo diverso, mi sentivo inutile e incapace. Io sono abituata a prendere in mano le situazioni difficili cercando la soluzione, ma in quel frangente non riuscivo proprio a far nulla, sentivo una frustrazione immensa di fronte a questa cosa talmente grande che non ero in grado di gestire.

Dopo questi tre mesi in Pediatria ci hanno comunicato che Sara sarebbe stata ricoverata a Villa Miralago, ma lei anche ora afferma di non voler guarire. Questa è una malattia devastante: Sara è sempre stata una ragazza splendida, profonda, sensibile, ama la bellezza, la poesia, l’arte, la musica, ma questa malattia l’ha spenta totalmente. Quando sta male dice di avere ancora quei brutti pensieri, sente quella voce che le dice che deve scomparire.

Non è facile per noi a casa e neppure per lei, ma finalmente abbiamo la convinzione che si trova nel posto giusto e di passi avanti ne ha sicuramente fatti. Dopo otto mesi le hanno tolto finalmente il sondino, ha iniziato ad assumere lo yogurt e la frutta, anche se con tantissima fatica. Io ho tanta speranza e tanta fede che mi aiuta, però in alcuni momenti anch’io crollo.

Mi sono fatta seguire da un professionista, c’è stato un periodo in cui non mi reggevano più le gambe. Ho un’altra figlia di 10 anni che ha visto cose che una bambina di quell’età non dovrebbe mai vedere, perché ci sono stati episodi di autolesionismo, Sara si graffiava fino a togliersi la pelle e il sangue lo vedevi, oppure aveva delle crisi molto forti di pianto e non riusciva a smettere per ore. Poi si metteva in un angolo fino a diventare piccola piccola e scomparire. Sara ha una dispercezione corporea molto forte, tuttora si vede enorme, una balena, si fa schifo e si odia.

Poi ci sono momenti di lucidità dove dice che quando tornerà a casa vorrebbe frequentare l’Università, che vorrebbe andare a vivere con un’amica e dice di avere dei sogni per il futuro. In questi momenti riesco a riconoscere Sara, ma io vedo nel suo sguardo la sua duplicità. Quando ha “lo sguardo di Sara” ti parla di sogni, di bellezza e di positività; quando ha quello sguardo spento ha “lo sguardo della malattia” che sta parlando per lei. Io ho imparato ad ascoltare Sara, ma quando parla la malattia cerco di non trattenere quello che dice, perché non è Sara che parla. Ho imparato a distinguere Sara dalla malattia e vorrei che lo capisse anche lei, ma lei continua a dire che sono una cosa sola, si identifica in essa. Lei non è Sara ammalata, lei è Sara.

Un’altra cosa che mi ha fatto riflettere quando eravamo in ospedale è che non ha mai telefonato ai suoi amici, mandava solo dei messaggi. In realtà non ha mai avuto tanti amici perché ha subìto bullismo, non ha mai avuto grandi relazioni positive coi compagni mentre le ha avute con gli adulti perché è molto matura e forse questa cosa l’ha un po’ penalizzata nei confronti dei compagni. Io le chiedevo perché non chiamasse gli amici e lei mi rispondeva che per loro lei era la Sara di prima mentre ora era la “vera Sara” e questa cosa è devastante perché significa che si identifica ancora totalmente nella malattia.

Di fronte a questa patologia ti senti completamente sola, non supportata neanche dalle persone che ti sono vicine perché non riescono a capire. I miei genitori sono molto anziani e hanno patito la fame, quindi non riescono a comprendere che questa è una malattia, ma neppure i nostri parenti l’hanno capita. Però abbiamo avuto la fortuna di avere degli amici molto sensibili e comprensivi che sono stati molto vicini a noi e anche a Sara e questa cosa mi è stata molto d’aiuto.

Ora sto riprendendo in mano la mia vita perché l’avevo persa, non esistevo più nemmeno io, non esisteva più la famiglia, c’era solo questo pensiero fisso e nient’altro. Dovevo stare attenta ad ogni parola che dicevo o a qualunque cosa facessi, mi sono letta milioni di libri per capire cosa fosse questa malattia e come potevo aiutarla, ci ho passato le notti per capire che più di così in realtà non potevo fare. Ho capito che l’unica cosa certa è che lei deve riuscire a staccarsi dalla malattia, deve scattare quel meccanismo che le faccia prendere consapevolezza che Sara non è la malattia, ma che lei è altro. Ma ho molta fiducia e sento che ce la può fare, ovviamente sto male, c’è tanto dolore e mi dispiace per lei perché non si merita tutto questo. Sara è sempre stata una persona meravigliosa ed è assurdo che si senta non all’altezza, non adeguata o che si senta sbagliata, un errore, e arrivi al punto di odiarsi o farsi schifo. Sono tutte ragazze bellissime, ma loro non riescono a vedersi.

Nei confronti di queste malattie esiste uno stereotipo: tutti sanno cos’è l’anoressia a parole, ma tutti identificano la ragazzina anoressica come la ragazzina poco profonda, superficiale che vuole essere magra, vuole essere bella. E invece non sanno assolutamente cosa significhi, quanto sia dolorosa e devastante, e quanto questa malattia sia distruttiva per le persone che ne soffrono e per la famiglia. Queste ragazze non hanno più emozioni, si spengono e lo sguardo è la cosa che più ti fa capire quando stanno male, quando la malattia ha il sopravvento: è come se fosse lo sguardo di un’altra persona, non le riconosci più.

Se Sara fosse qui l’abbraccerei forte e a lungo e le direi che la vita è spettacolare e va vissuta, che ci viene data un’unica possibilità e ogni momento va assaporato; ma penso che in questo momento non riuscirebbe a capire.

Questa malattia mi ha anche fatto riscoprire me stessa, perché senza rendermene conto mi ero annientata, già da tempo ero la mamma di Sara e la mamma di Anna ma mi ero dimenticata di essere Sabrina. Forse avevo perso l’amore per la vita, facevo le solite cose ed ero serena, ma in realtà non vivevo come invece come voglio vivere adesso. Voglio riscoprire veramente tutto e mettere di nuovo in gioco l’anima che c’è dentro ognuno di noi e che a volte lasciamo assopita: invece deve essere vivida e attiva e spero di riuscire a trasmettere anche a Sara questo desiderio e questa volontà.





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