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Valerie


"La maggior parte delle persone non riesce a comprendere, fa domande del tipo “è così bella, perché vuole dimagrire ancora”, ma il punto non è questo, lei non vuole essere più bella, lei vuole sparire."


 

Sono Valerie Brelin, la mamma di Noemi che ha avuto un esordio di disturbo alimentare cinque anni fa. Adesso ha 26 anni, in realtà era già stata seguita all’Auxologico di Milano in day hospital per quasi un anno e sembrava che la cosa si fosse un pochino risolta. Ha vissuto per un paio di anni a Torino da sola e purtroppo da un anno a questa parte ha avuto una ricaduta, a mio avviso anche più pesante. Questa cosa ci ha mandati tutti molto in crisi, la prima volta l’affronti con un’energia diversa, forse con meno consapevolezza perché è la prima volta che ti capita. Io non conoscevo in modo approfondito i disturbi alimentari, invece adesso nostro malgrado ci siamo dovuti documentare. Ascolto conferenze di persone esperte, cerco di documentarmi, anche se poi in realtà quando capita sono le emozioni che prendono il sopravvento.

La prima volta ho provato la voglia di sconfiggere questa cosa, certo anche un po’ di rabbia, ma non c’era la sofferenza che c’è adesso. Mi sono detta “rimbocchiamoci le maniche e risolviamo la cosa”, ora invece mi sento meno tranquilla e meno forte.

Provo la sensazione di non poter fare niente, di non sapere cosa fare, un senso di inutilità. Credo poi, almeno questo è ciò che succede a me come madre, che quando dai la vita ad un figlio vuoi per lui il meglio; ma quando lo vedi soffrire così tanto ti sembra di avergli regalato la mela avvelenata; e quindi ti chiedi come far fronte a questo, io ti ho messa al mondo pensando che avresti avuto una vita meravigliosa e invece ti porti dietro un fardello di sofferenza veramente pesantissimo. Per una mamma la responsabilità, il senso di colpa pesa veramente tanto.

Io i ragazzi li ho cresciuti da sola, il loro padre da lontano è stato presente, ma non nel quotidiano, e forse quindi mi colpevolizzo; in realtà non è il termine esatto, ma il senso di responsabilità è ancora più forte.

Purtroppo non esiste il manuale del buon genitore con scritto quello che è giusto e quello che è sbagliato, si fa del proprio meglio, e spesso si sbaglia in ogni caso. È incomprensibile, ma soprattutto inaccettabile che dopo aver dato loro la vita essi vogliano scomparire; sì è inaccettabile.

Secondo me hanno fame, credo che abbiano fame di essere riconosciute ma anche di riconoscersi, credo siano un po’ confuse riguardo alla loro identità, a quello che vogliono essere veramente, hanno fame di un posto nel mondo, che pensano di non meritare. Quando si dice loro “ti voglio bene” non pensano di meritare tutto questo, quindi proprio secondo me hanno fame di concedere qualcosa a sé stesse: eppure meritano tanto dalla vita, meritano tutto, ma non si sentono mai all’altezza. Credo sia un tratto comune a tutte.


Il loro problema si chiama “controllo”: pensano di non avere il controllo su alcuni aspetti della propria vita e così decidono di averlo sul proprio corpo, sul cibo, ma in realtà lo perdono completamente, perché il controllo passa in mano alla malattia.

Noemi diceva fino ad un po’ di tempo fa “se non fossi anoressica non sarei più niente”. Questo è il dramma.

Il tempo in questo momento è fermo, ho la sensazione che per noi il tempo si sia fermato. La cosa che mi rattrista, anche se mi rendo conto che c’è bisogno di questo stop, è che questi sono gli anni in cui Noemi dovrebbe spaccare il mondo, fare follie, anche le sciocchezze che da giovani tutti facciamo: e purtroppo sono anni che nessuno ti restituisce, questo pensiero mi rende molto triste.

A volte mi sembra che tra me e mia figlia il rapporto non sia cambiato a sufficienza; noi siamo state sempre abbastanza simbiotiche e mi rendo conto che lei, al contrario di chi vive l’adolescenza ribellandosi, non si è mai ribellata, non ha vissuto la fase dell’adolescenza, invece dovrebbe riuscire a staccarsi.

Forse non le prepariamo ad essere abbastanza forti. Loro non si sentono pronte e forti, hanno sempre avuto noi come cuscinetto. Io avevo la stessa simbiosi con mia madre, che si è suicidata molto giovane, per cui il legame con lei si è spezzato all’improvviso in modo molto atroce e mi rendo conto che questo vissuto ha influito sul mio modo di crescere i figli e sul mio modo di amare e la malattia di Noemi è un riproporre una situazione di quel tipo, è un’emozione molto forte.

Un abbraccio può avere molti significati, a volte è necessario, a volte invece sarebbe meglio trattenersi dall’abbracciare troppo perché sembra che vogliamo trattenere qualcuno e non farlo volare,; l’abbraccio è un’arma a doppio taglio, a volte adesso mi trattengo, vorrei abbracciarla ma mi impongo di lasciarla andare, di lasciarla fare.

Le parole sono sicuramente fondamentali, però anche qui occorre trovare il limite, considerare quando è il momento di esprimere il proprio parere e quando non è il momento di farlo. In questa situazione trovo ingiusto è il fatto che, essendo Noemi maggiorenne, non si ha modo di avere frequenti contatti con chi la segue, di conseguenza non ho nessuno che mi dica cosa sia giusto fare o non fare. Nel caso delle minorenni è previsto anche un percorso per i genitori, per noi invece no, e secondo me questa è una carenza: quando le ragazze vivono in casa il fatto che siano maggiorenni è ininfluente, è ben diverso quando vivono fuori; a me è mancato che, quando Noemi è stata meglio, non ci sia stato qualcuno che mi dicesse cosa fosse giusto.

Vorrei che ci fosse maggiore possibilità di comunicare, non pretendo di parlare col suo terapeuta per sapere cosa lei dice durante le sedute, ma di avere delle informazioni su come aiutarla.

Ho avuto e continuo ad avere la paura di perderla. Mentre noi siamo proiettati verso la vita loro sono proiettate in senso opposto, per me è terribile vederla soffrire così. Bisogna però andare avanti, vorrei che fosse felice, qualunque cosa sia vorrei che fosse sé stessa, che volesse vivere la vita, di mangiarsela a morsi, come si dice.

Ho deciso di partecipare al progetto perché è importante che le persone sappiano, si deve arrivare a comprendere il disturbo e bisogna soprattutto saper riconoscere i campanelli d’allarme, la ragazza che intraprende una dieta per perdere qualche chilo ma poi degenera: noi ci siamo passati. E’ importante capire, chiedere aiuto e sapere che c’è qualcuno che ti sa rispondere, banalmente anche solo ascoltare, senza poter ovviamente risolvere il problema. La maggior parte delle persone non riesce a comprendere, fa domande del tipo “è così bella, perché vuole dimagrire ancora”, ma il punto non è questo, lei non vuole essere più bella, lei vuole sparire.





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