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Vanessa


"...Non mi sentivo all’altezza, non ero mai abbastanza in niente..."


 

Mi chiamo Vanessa, ho 21 anni e sono a Villa Miralago da 5 mesi per bulimia e anoressia nervosa. Sono nata a Varese e vivo in un paesino nella provincia di Como.

Ho avuto un’infanzia bellissima, penso sia stato il momento più bello della mia vita. Sono cresciuta in mezzo alla natura, tra i campi e un sacco d’amore. La mia infanzia la ricordo così.

Mio padre ha un’azienda e mia madre lavora con lui come impiegata, quando ero piccola, dopo la scuola, andavo da una nostra cugina che mi ha fatto da baby sitter fino ai 12 anni. Questa era la mia seconda casa perché sostanzialmente sono cresciuta lì.

Poi è arrivata l’adolescenza che ha trasformato i colori dell’arcobaleno della mia infanzia in un colore grigio. Forse sono rimasta bambina più a lungo rispetto alle mie coetanee, durante le medie e la prima superiore io ero ancora molto infantile in tante cose, sia nel modo di vestire che negli atteggiamenti. Non dicevo parolacce e quando vedevo le mie compagne iniziare a fumare o marinare la scuola, consideravo queste cose proibite, da non fare. Ero molto ubbidiente e scrupolosa ma anche molto bambina.

Ho iniziato a giocare a pallavolo quando avevo 8 anni e questa passione l’ho coltivata fino ai 16 poi ho avuto un infortunio e ho dovuto smettere. Nella pallavolo non mi sentivo diversa dalle mie compagne, eravamo tutte allo stesso livello. Mi sono trovata abbastanza bene anche se a posteriori, parlandone con i miei genitori, mi rendo conto di quanto questo ambiente abbia influito sulla mia autostima, perché era un contesto molto competitivo.

Il tutto è cambiato in seconda superiore: frequentavo un istituto tecnico economico che non mi piaceva per niente. L’avevo scelto io pensando che avrei potuto lavorare da mio padre, anche se mia madre e le mie insegnati mi avevano consigliato il liceo classico o delle scienze umane. Ma io osservando mio fratello, più grande di me, che stava finendo il liceo scientifico e non aveva più voglia di proseguire, pensavo che con un diploma di liceo è difficile trovare un lavoro, si deve necessariamente frequentare l’Università, ho preferito scegliere questa scuola.

Il primo giorno di scuola è accaduta una cosa paradossale che ricorda la scena di un film. Tutti i ragazzi in fondo alla classe e la professoressa che assegna i posti, io in genere ero sempre nei primi banchi, vicino alla cattedra, con le compagne secchione e precisine come me, invece l’insegnante dice“Vanessa in fondo, vicino a questo compagno così me lo fai stare zitto”. Io questo ragazzo non lo potevo sopportare perché era il mio opposto, il belloccio della classe, quello che rispondeva male ai professori, la testa calda che non aveva voglia di studiare, praticamente l’antitesi di Vanessa.

Le prime settimane eravamo cane e gatto, poi ho iniziato a fare amicizia fino ad innamorarmi di lui. La cosa però era complicata perché il mio sentimento non era ricambiato. Per cercare di piacergli io mi sono trasformata completamente, diventando l’opposto di quella che convenzionalmente viene definita “la brava ragazza”.

Per lui ho cambiato il modo di vestire, di truccarmi, non mi sono mai domandata, davanti allo specchio, se questo lo facevo per me stessa.

A posteriori mi sono resa conto che questo cambiamento doveva comunque avvenire. Solo che in quel momento la trasgressione non mi apparteneva, la vedevo negli altri ma per me era quella cosa che non potevo prendere in considerazione.

Tutti in classe si erano accorti di questa situazione, lui ogni tanto mi dava il contentino, in realtà a lui piaceva un’altra ragazza e continuava a fare paragoni “ma tu non hai le tette, hai il culo floscio, guarda lei com’è bella”. Un giorno mi chiama al telefono e mi dice chiaramente che questa strana relazione tra noi era finita.

Non penso sia stata questa la causa, ma da quel momento ho cominciato ad avere problemi con il mio corpo, cercando di essere ciò che in realtà non ero, solo per piacere agli altri. Avevo modificato anche le mie abitudini, andavo a ballare, bevevo, fumavo, tutte cose che non corrispondevano al mio modo di essere. Volevo piacere a lui che non c’era, ma nel mio immaginario continuava ad esserci, e agli altri. Io non mi sentivo bene a comportarmi così, ma non sapevo come e cosa fare per non essere invisibile. Non mi sentivo all’altezza, non ero mai abbastanza in niente.

Più avanti mi sono fidanzata con un ragazzo che, ancora una volta, era l’opposto di quello che io ero diventata. Continuavo a scegliere il mio opposto, in un modo o nell’altro, e insistevo ad adeguarmi al modo di essere degli altri, senza pensare a cosa volesse veramente Vanessa.

I problemi col cibo sono iniziati a dicembre di quell’anno quando, pesandomi, ho visto un peso diverso da quello che mi aspettavo. Ho iniziato a eliminare la pasta, i dolci; i miei genitori erano contenti perché vedevano che mangiavo in modo più sano.

Quando uscivo con gli amici per l’aperitivo evitavo certe cose e loro mi dicevano:“ma come fai a resistere, ti invidio, io non riesco”; in quel momento mi sentivo forte, tenace nel portare avanti le mie convinzioni, dotata di autocontrollo, perché era l’unica cosa che sapevo fare bene.

Andavo bene a scuola per dovere, anche se non mi piaceva, stavo in una relazione che mi piaceva ma allo stesso tempo mi sentivo intrappolata, non avevo capito che in realtà mi stavo nascondendo, stavo nascondendo la vera Vanessa.

Non so se mi rendevo conto che ero finita in una spirale che mi stava distruggendo. Dopo un’estate in un cui avevo iniziato a restringere sempre un po’ di più, una sera mio fratello stava mangiando le gocciole, che io non mangiavo da un secolo, e ne ho assaggiata una poi mi sono detta “non dovevi, non era previsto, non te lo puoi permettere”, perché la malattia ha un controllo incredibile su di te anche se pensi di essere tu ad averlo. Ho ignorato questo pensiero e ho cominciato a mangiarne due, tre, quattro …. quando ho finito mi sono detta “ma cosa ho fatto!” e istintivamente, senza pensarci ho vomitato. In quel momento ho pensato “ma che f*****! Io posso mangiare tutto quello che voglio e vomitarlo “. “Bellissimo!”, la soluzione perfetta. Io non sapevo neppure cosa fosse la bulimia, ma da quel momento è iniziato il delirio, ho cominciato a farlo tutti i giorni. Tornavo a casa da scuola, ero da sola perché mio fratello non c’era, mia mamma era al lavoro, mettevo nel piatto le cose che avrei dovuto mangiare secondo la malattia, un secondo e un po’ di verdura, poi aprivo il frigorifero mangiavo lo yogurt e i tutti i dolci che trovavo, quindi andavo a vomitare. Lo facevo sempre quando ero sola, di nascosto. A volte non mi bastava neppure tutto quello che c’era in casa, andavo al supermercato vicino casa e compravo dolci, cioccolato, tantissimi prodotti della Kinder, al punto che una volta la cassiera mi ha chiesto “ma in questo periodo hai il ciclo?” e io le ho sorriso con una tranquillità disarmante.

In quel periodo mentivo tantissimo a me stessa in primis e poi a tutti. Mi rendevo conto di aver perso il controllo che avevo prima, una sera dopo aver vomitato per l’ennesima volta ero in macchina con mio padre, sono scoppiata a piangere e gli ho raccontato quello che facevo. Gli ho chiesto aiuto e lui il giorno successivo mi ha fissato un appuntamento a Niguarda. Di fatto io avevo chiesto aiuto a mio padre perché mi rendevo conto che questa non era una cosa normale ma ciò non precludeva il fatto che io volessi continuare a farlo. Continuavo imperterrita a vomitare.

Siamo andati a fare questa visita, quando siamo usciti mia madre ha guardato l’orologio dicendo:“è tardi, prendiamo una pizza?”, questo per far comprendere che di questi disturbi non capivano proprio nulla. In quel periodo io ero arrabbiatissima con loro.

Dopo le prime visite i miei genitori sostenevano di vedermi più serena perché riuscivo a seguire il piano alimentare, senza rendersi conto che in un secondo momento mangiavo altro e vomitavo.

C’è stato un episodio che esemplifica le difficoltà che avevo in quel periodo con i miei genitori: un giorno dopo aver vomitato, ho dimenticato in giro un asciugamano sporco, mio fratello lo ha trovato ed ha riferito la cosa ai miei genitori, perché era molto preoccupato per me.

Ero a Como ad un corso, mio padre è venuto a prendermi e nel tragitto verso casa urlando mi ha chiesto:“ma perché lo fai?”Ho risposto:“papi, non lo so”. In auto andava pianissimo, come se volesse temporeggiare per capire, io provavo una paura assurda. Quando finalmente siamo giunti a casa sono scesa di corsa dall’auto e l’ho sentito gridare “ma non ti vedi che fai schifo!”.Non avevo mai visto mio padre così fuori di sé ed ho avuto veramente paura, poi è arrivata mia madre che ha placato un po’ gli animi, quando mio padre ha capito che il mio non era un capriccio, ma un problema che nemmeno io riuscivo a comprendere, è scoppiato a piangere dicendomi “io non ti voglio perdere! “. Solo in quel momento mi sono resa conto della sua disperazione.

In quel periodo il rapporto coi miei genitori era ambivalente, da una parte volevo chiedere aiuto perché mi rendevo conto di non riuscire a gestire questo peso, dall’altra mi sentivo intralciata e percepivo la loro attenzione nei miei riguardi. Il loro atteggiamento non mi sembrava accogliente, si arrabbiavano perché erano molto preoccupati, e non capivano come agire. Io questo io l’ho compreso solo dopo.

Ero infastidita da tutti, vivevo il rapporto con gli altri con distacco, volevo solo una casa mia per fare ciò che volevo. Nonostante avessi un ragazzo, i genitori, un fratello e degli amici Io mi sentivo sola, ma in quella solitudine io ci stavo bene, volevo stare con la mia malattia.

Sapevo di essere malata, ma il rapporto con il mio ragazzo bene o male funzionava e la scuola anche. Pensavo di poter continuare così.

In realtà non so se il mio ragazzo abbia mai capito questa malattia, però mi è stato accanto e nonostante i suoi 20 anni, non mi ha mai giudicata, non si è mai arrabbiato. Mentre il sostegno dei miei l’ho avuto solo successivamente e ora non saprei cosa fare senza di loro.

Il giudizio nei confronti di questi problemi è sempre presente, in ogni cosa. Quando ero molto magra mi dicevano “devi mangiare … che schifo” ma io stavo bene in quella magrezza.

Il tutto è andato aventi per un anno tra abbuffate e vomito, intanto i miei genitori hanno iniziato un percorso di sostegno ed hanno cominciato a capire la mia malattia.

La malattia mi ha tolto tutto. Io facevo qualsiasi cosa ma ero assente, anche quando uscivo con gli amici pensavo solo alla malattia, a camminare, a tornare a casa per abbuffarmi e vomitare. Entri in un loop, fai tutti i calcoli: ho fatto colazione, a pranzo ho mangiato una mela quindi adesso devo fare questo numero di passi regolarmente controllati sull’orologio oppure ho fame e forse a quest’ora trovo casa libera e posso abbuffarmi ….. tutto così.

Vanessa era tutt’uno con la malattia. Solo in questi mesi ho cercato di scindere le due cose e sto cercando di amarmi. Ora credo di saper distinguere i pensieri malati da quelli sani che poi sono i pensieri di Vanessa. Per me è tanta roba, sono contenta anche se a volte vado in crisi e mi chiedo cosa stia succedendo.

Io cerco la bellezza nelle cose esterne, mi perdo nei ricordi, mi piace sognare attraverso i racconti dei libri.

Per quando riguarda il futuro sto cercando di capire cosa voglio fare, avevo iniziato l’università, che ho dovuto lasciare, per via della malattia.

Se affermo che in questo percorso ci vuole tanta forza ho quasi l’impressione di mettermi su un piedistallo che non mi merito, io non sento di avere tutta questa forza, mi sembra di fare ben poco. Mi sentivo molto più forte quando mettevo la testa nel wc; anche se, riflettendo meglio, un anno fa non sarei riuscita a compiere questi progressi. Non riesco ancora a riconoscere in me quella forza che in realtà serve.

Mi sembra di aver sprecato un sacco di tempo. Nel momento in cui mi hanno detto che avrei dovuto lasciare l’università perché dovevo fare il day hospital sono iniziati i problemi col tempo.

Razionalmente so che questo tempo non è stato sprecato, che è stato utile per ritrovare Vanessa, però non mi basta perché ho 21 anni e mi sono persa un sacco di esperienze, non ho colto certe opportunità, vedo gli amici che lavorano, che stanno comprando casa. Di fronte a questo come giustifichi che, mentre loro si stanno costruendo una vita, tu stai cercando te stessa? Non è facile.


Io ho da sempre un grande sogno che è quello di diventare mamma e più il tempo passa e più questo sogno si rafforza. La gravidanza, il diventare mamma è una cosa che mi affascina, è il mio sogno.

Ora so che anche i miei genitori si guardano allo specchio e pensano di aver fallito con me, però vorrei tanto che non fosse così perché non è vero.

Se in questo momento fossero qui li ringrazierei per aver capito e per essermi stati così vicini, direi loro che mi dispiace per tutto quello che hanno passato con me. Penso tutti i giorni a quando mio papà mi portava ogni mattina a Milano e mia mamma mi veniva a prendere ogni pomeriggio con un sacchettino che conteneva qualcosa, un gesto pieno d’amore; mi dispiace che abbiano dovuto subire tutto questo. Non potrei chiedere loro di più.






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Eleonora

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