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Eugenia


Non credo esista la famiglia modello “Mulino Bianco” ogni famiglia ha le sue vicissitudini.



 

Sono Eugenia, la mamma di Margherita. Ho una bella famiglia con quattro figli, ci siamo sposati nell’89 e sono nate subito due bambine e poi due bambini. Abbiamo sempre vissuto a Milano in una zona popolare, dove abbiamo incontrato altre famiglie con figli che frequentavano gli stessi asili, le stesse scuole. Sicuri delle nostre scelte, abbiamo proseguito nel nostro cammino.

I ragazzi hanno trovato poi la loro strada con gli studi, sia mio marito che io siamo insegnanti nella scuola media, quindi abbiamo sempre messo la scuola al primo posto.

Teresa la più grande oggi lavora come ostetrica, Margherita ha scelto gli studi classici, si è laureata in lettere moderne alla Cattolica con l’orgoglio di tutti noi, poi, finiti gli studi, è crollata. Ha cominciato a esprimere un disagio forte all’interno della famiglia, a cercare di vivere fuori casa, però sempre presso qualcuno di sua conoscenza.

Ci siamo accorti che cominciava a perdere peso, nel rapporto con me era abbastanza violenta, a volte siamo arrivate anche alle mani perché io in alcuni momenti assumevo un atteggiamento di difesa, in altri attaccavo, non comprendendo la situazione che si era creata.


Non conoscevo questa malattia, probabilmente avevo avuto a che fare con persone che hanno avuto queste patologie, ma da fuori non è facile capire.

Da lì abbiamo iniziato a consultare uno psicologo, poi ci siamo rivolti ad uno studio dove veniva seguita anche da uno psichiatra. Ha avuto un primo ricovero perché il calo di peso era eccessivo e aveva problemi cardiologici, c’era la mancanza di liquidi ed anche il fegato e i reni erano a rischio.

Era fortemente bulimica, con episodi di vomito. Lei mi parlava di abbuffate ma io non capivo, anzi ricordo che una volta a Niguarda ha detto ad una dottoressa che si sentiva in colpa per una abbuffata, io mi sono allora rivolta alla dottoressa dicendo: "continua a dire abbuffata ma ha mangiato solo due foglie di insalata..."... Lei ha risposto che dovevo accettare questa parola, che descriveva un comportamento che non veniva accettato da Margherita...

Un genitore trova difficoltà ad affrontare e accettare una situazione del genere, e a cercare delle risposte. Ad esempio ci è sembrato anomalo sentirci dire dai medici di Niguarda di chiudere a chiave la porta della cucina nella notte e di tenere in casa solo l'essenziale, niente biscotti, niente dolci, specialmente per una famiglia numerosa come la nostra.

Anche le reazioni dei fratelli, Beniamino e Stefano, non sono state facili da gestire. In particolare Beniamino, che è il più vicino a Margherita, non trovava giusto che tutto ruotasse intorno a lei. E’ stato difficile gestire questa situazione, poi con l'aiuto dell’associazione “Ilfilolilla”, ascoltando e parlando con altri genitori e con esperti della malattia abbiamo compreso che è normale che tutti i componenti di una famiglia restino coinvolti.

Come genitori ci siamo sentiti in colpa. Quando i nostri figli erano piccoli ho cercato di informami, di confrontarmi, abbiamo delegato alcuni compiti a quelle che erano le figure educative dei nostri figli, con le quali condividevamo i principi. Mi sono rimproverata di non essere stata molto vicino a Margherita, di non essermi accorta del suo disagio ma non mi sento l'unica responsabile.

Ci sono stati dei momenti difficili quando i bambini erano piccoli, mi dovevo assentare dal lavoro, quando loro non stavano bene, facendomi sostituire da mio marito che era ancora più impegnato di me. Ci sono stati momenti di tensione che abbiamo superato, ma recentemente i miei figli mi hanno confessato che certe situazioni, da noi superate a volte anche con ironia, le hanno vissute con una certa gravità...Non credo esista la famiglia modello “Mulino Bianco” ogni famiglia ha le sue vicissitudini.

Quando mi hanno detto che Margherita era gravemente ammalata di anoressia, la mia prima reazione è stata di irritazione, ho compreso comunque la serietà del problema, vedendo anche lo stato di mia figlia.

Quando ero ragazza c’è stato un momento di difficoltà in famiglia dovuto al cambiamento di lavoro dei miei genitori. Mia madre aveva preso in gestione un albergo, quando frequentavamo le scuole medie. Abbiamo dovuto abituarci alla nuova situazione, è stato uno scompenso notevole adattarci a vivere in un albergo.

Ricordo che un anno in cui non ero andata molto bene a scuola, approfittando del fatto che avevamo degli amici in Germania, presso i quali avrei potuto imparare meglio il tedesco, sono partita a marzo e sono stata là fino ad agosto. Dovevo lavorare, abitavo da sola e in quel periodo sono dimagrita parecchio. Al mio rientro, mia madre mi disse che ero irriconoscibile. Non mi sono soffermata su questo problema, non considerandolo importante, e poco tempo dopo ho sostenuto tranquillamente gli esami di maturità. Non disponendo allora di strumenti adeguati per comprendere cosa mi era accaduto, non ho mai considerato questo episodio come una malattia.

Credo che dietro questo disturbo ci sia un bisogno di amore, di affetto. Abbiamo sempre pensato che in famiglia ci fosse un buon rapporto, tutti abbiamo sempre amato Margherita, che a volte era anche la preferita del papà.

Nonostante questo, secondo me, lei ha sofferto molto nelle relazioni, ha avuto difficoltà con i compagni di scuola ma anche molta competitività con le cugine e la sorella. E’ stata sempre introversa, silenziosa e quindi non ha esplicitato il bisogno che ha di essere corrisposta, confermata e rassicurata. E’ fragile ed ha poca autostima, si è sempre identificata nella sorella maggiore, nelle cugine e nelle amiche. Pur avendo il gusto del bello, riconosce la bellezza negli altri ma non in sé stessa, non si accetta. Assomiglia molto a me ed alla mia gemella, soprattutto però assomiglia alla nonna.

Ora è ricoverata a Villa Miralago da fine agosto dell'anno scorso, quando la sentiamo per telefono dice di aver accettato di curarsi e di restare nella struttura anche se prova un po’ di insofferenza perché non può uscire e fare tutte quelle cose che fanno normalmente le persone.

A volte ho avuto paura di perderla, come l’anno scorso, durante il ricovero a Niguarda, mi ha chiesto di accompagnarla in cortile per fumare una sigaretta. Dopo pochi minuti ha voluto ritornare in reparto e, mentre eravamo in ascensore, ha avuto un mancamento, l’ho sorretta, adagiata a terra e poi ho chiesto aiuto. Mi sono ricordata che una carissima amica con la quale preparavo gli esami all’università, aveva una sorella con questi disturbi, che solo oggi comprendo bene, che un giorno si è buttata da un balcone. Mentre i sanitari mettevano sul letto Margherita per rianimarla, ho capito che ci potrebbe essere anche questo rischio.

Ricordo un libro di David Grossman, un grande scrittore israeliano, che racconta la storia di una famiglia, in particolare del padre, che ha perso i figli in guerra e periodicamente si recano in pellegrinaggio sulle colline di Gerusalemme. Anche noi genitori di questi ragazzi soffriamo per queste ferite.

La dottoressa Molinari, che ci guida negli incontri periodici, afferma che questa esperienza ci dà la possibilità di un arricchimento, in quanto ci porta a guardare meglio dentro noi stessi, a rivedere la nostra vita di coppia e ad osservare tutto da una prospettiva diversa, consentendoci di riflettere sui nostri errori e di acquisire la capacità di attendere pazientemente.

Oltre che a desiderare la guarigione di mia figlia vorrei che tutti noi riacquistassimo la libertà che questo male ci ha tolto e vorrei che imparassimo ad usare questa libertà nel modo giusto.

Forse i nostri figli, che affrontano con coraggio e determinazione la loro malattia, accettando un percorso molto impegnativo, hanno meno paura di noi genitori nella ricerca di una via d’uscita.

Vorrei che un giorno Margherita trovasse una persona che le corrisponde, in grado di darle tutto l’affetto che merita. Se fosse qui l'abbraccerei forte e poi le direi:

Dai Maggie ora andiamo a festeggiare Teresa perché è il suo momento; poi verrà anche il tuo ed allora faremo una festa ancora più grande, sarà un’esplosione di felicità.





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Eleonora

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